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messi infantino emiro qatar coppa del mondo

E adesso, per favore, torniamo a parlare di cose serie

Con oggi si abbassa il sipario su uno dei mondiali più chiacchierati di sempre. Terminati i festeggiamenti di pancia è ora il tempo della testa: se il Qatar pensa di poter ricattare l’Europa con la stessa facilità con cui ha fatto indossare la “mantellina” a Lionel Messi, si sbaglia di grosso
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E adesso, per favore, torniamo a parlare di cose serie

Con oggi si abbassa il sipario su uno dei mondiali più chiacchierati di sempre. Terminati i festeggiamenti di pancia è ora il tempo della testa: se il Qatar pensa di poter ricattare l’Europa con la stessa facilità con cui ha fatto indossare la “mantellina” a Lionel Messi, si sbaglia di grosso
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E adesso, per favore, torniamo a parlare di cose serie

Con oggi si abbassa il sipario su uno dei mondiali più chiacchierati di sempre. Terminati i festeggiamenti di pancia è ora il tempo della testa: se il Qatar pensa di poter ricattare l’Europa con la stessa facilità con cui ha fatto indossare la “mantellina” a Lionel Messi, si sbaglia di grosso
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Con oggi si abbassa il sipario su uno dei mondiali più chiacchierati di sempre. Terminati i festeggiamenti di pancia è ora il tempo della testa: se il Qatar pensa di poter ricattare l’Europa con la stessa facilità con cui ha fatto indossare la “mantellina” a Lionel Messi, si sbaglia di grosso
Mentre Lionel Messi si coccolava la meritatissima Coppa del Mondo, accarezzandola con la stessa dolcezza con cui si sfiora la testolina di un neonato, a pochi chilometri dalla Sicilia – la regione che ironia della sorte rappresenta il pallone calciato dalla nostra bella Penisola – una mamma accarezzava, per l’ultima volta, il capo della sua piccolina, annegata a soli due anni nel mar Mediterraneo durante la traversata che divide i due mondi, noi e loro.  Due immagini che ci portano, inevitabilmente, a chiederci dove sia quando serve la mano di Dio, in grado sì di mandare una sfera tra i pali ma non altrettanto capace di salvare vite innocenti.  Inutile ribadire per l’ennesima volta che questi mondiali non si sarebbero dovuti giocare in Qatar. Stiamo piuttosto attenti, ora che i giochi si sono chiusi, che la comunità internazionale non spenga di punto in bianco i riflettori su un paese che viola costantemente i diritti fondamentali dell’uomo e che in queste ore ci sta mostrando una nuova faccia di un volto che sapevamo già essere arcigno. Il Qatar – uno di quei paesi “amici” che l’Unione Europea aveva individuato per sopperire alla fornitura ridotta di gas dalla Russia – dopo le accuse di corruzione mosse dai magistrati di Bruxelles, minaccia ora di interrompere le trattative sul gas liquido, avanzando così il suo ricatto all’Europa, dunque Italia compresa.  Archiviate le lacrime di gioia e delusione, gli entusiasmi di pancia per uno degli sport più belli al mondo, il giorno dopo è obbligatorio tornare a parlare di “cose serie”.  Ricordando, per esempio, che per costruire quegli stadi che ci hanno fatto sognare sono morte 6500 persone – leggansi schiavi –  come raccontato da un’accurata inchiesta del Guardian a suo tempo; ricordando che queste famiglie attendono ancora un risarcimento che, molto probabilmente, non arriverà mai.  Dettaglio di non poco conto se paragonato al montepremi che investirà le nazionali uscite vincitrici da questo mondiale maggiorato dall’ultima volta, quando si giocò in Russia, del 20%: 440 milioni di dollari, di cui 42 all’Argentina, 30 alla Francia, 27 Croazia e giù a scendere. E poi i bonus per i premi legati alla Scarpa, il Pallone, il Guanto d’Oro. Tantissimi soldi che qualcuno non ha esitato a definire “macchiati di sangue” e che sarebbe bello sapere essere destinati, almeno in parte, ad alleviare le famiglie i cui cari hanno pagato con la vita la buona riuscita di questi mondiali. Il giorno dopo, ammettiamo anche – senza nulla togliere alla divinità in campo – un pizzico di imbarazzo nel rivedere le immagini di un campione della levatura di Lionel Messi lasciarsi andare a calorosi abbracci con il tanto contestato presidente della FIFA Gianni Infantino (“Il miglior mondiale di sempre. I diritti? Viene prima chi vuole godersi il calcio” aveva detto in conferenza stampa solo l’altro giorno, commentando tra l’altro l’alt dato a Zelensky sulla possibilità di diffondere un videomessaggio di pace prima della partita); quel Messi che subito prima di alzare la coppa si è lasciato vestire con il Bisht, il mantello riservato ai soli uomini di potere qatarini, dall’emiro Tamim bin Hamad Al Thani, lo stesso che nella cerimonia d’inagurazione dei mondiali aveva avuto come suo ospite d’onore il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed Bin Salman al Saud (il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi). Perché il calcio sarà pure la cosa meno seria fra tutte quelle qui sopra elencate, ma è anche quella –  arrivando dritta al cuore della gente –  in grado di veicolare più efficacemente certi messaggi.

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