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Giovani e lavoro, chi dice la verità?

Cosa serve ai nostri ragazzi per lavorare meglio e con maggiore soddisfazione personale? Quando affrontiamo il tema, ci fermiamo all’effetto e rifiutiamo di osservarne le cause

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Giovani e lavoro, chi dice la verità?

Cosa serve ai nostri ragazzi per lavorare meglio e con maggiore soddisfazione personale? Quando affrontiamo il tema, ci fermiamo all’effetto e rifiutiamo di osservarne le cause

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Giovani e lavoro, chi dice la verità?

Cosa serve ai nostri ragazzi per lavorare meglio e con maggiore soddisfazione personale? Quando affrontiamo il tema, ci fermiamo all’effetto e rifiutiamo di osservarne le cause

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Cosa serve ai nostri ragazzi per lavorare meglio e con maggiore soddisfazione personale? Quando affrontiamo il tema, ci fermiamo all’effetto e rifiutiamo di osservarne le cause

Cosa serve ai nostri ragazzi per lavorare meglio e con maggiore soddisfazione personale?

Anticipo la classica risposta: contratti e soprattutto soldi.

Nessuno sano di mente potrà dirsi contrario in linea di principio, ma il problema è che troppi si limitano a trasformare contratti e salari in feticci.

Provo a spiegare: è del tutto evidente il ritardo di tipo economico del mercato del lavoro italiano rispetto a quello dei Paesi concorrenti. Solo che, quando affrontiamo il tema, ci fermiamo all’effetto e rifiutiamo di osservarne le cause.

Formazione, esperienza e specializzazione quasi mai vengono richiamate per provare a spiegare dove si incastri il futuro dei ragazzi. Abbiamo pudore, talvolta vergogna, a sottolineare che in un mondo sempre più competitivo essere più preparati è semplicemente indispensabile. Che non funziona più come una volta, quando si poteva puntare sulla classica progressione anagrafica di carriera.

Era un mondo statico, imperniato sulle tre fasi della vita: scuola-formazione, lavoro, pensione. Oggi, la progressione lineare ha perso gran parte della sua forza, finendo per generare quell’effetto italiano degli stipendi inchiodati nei decenni.

Realtà che si abbatte con particolare violenza sui lavoratori più giovani, costretti a entrare in un mercato del lavoro asfittico, anchilosato, ancora legato a meccanismi di carriera totalmente anacronistici. E poi piangiamo perché i più bravi se ne vanno all’estero…

Chi si prende la briga di dire le verità scomode ai ragazzi?

Un veloce elenco: di studiare in senso lato non si smetterà mai (ma proprio mai!), la concorrenza sarà sempre più spietata, l’impiego fisso per una vita è destinato a scomparire del tutto, per guadagnare di più non basta pretenderlo, ma tanto per cominciare bisognerebbe dimostrare di meritarlo. E per meritarlo intendiamo diventare risorse fondamentali – prima ancora che per l’azienda – per la propria professionalità. Per se stessi.

Il concetto base è quello di “avere mercato“. Se hai mercato – cioè vali, puoi spendere una professionalità altamente competitiva in qualsiasi campo – trovare lavoro, cambiare lavoro e guadagnare di più saranno logiche conseguenze.

Accade regolarmente nella furibonda caccia ai talenti intrapresa dalle aziende, pronte a offrire qualsiasi cosa ai più bravi, allargando a dismisura la forbice con i lavoratori meno qualificati. Questo perché il nostro sistema scolastico e universitario non esercita la sana concorrenza, la competizione onesta e il premio al più bravo.

Il che non comporta l’abbandono di chi lo è di meno, al contrario! Significa accompagnare e stimolare questi ultimi a far meglio la prossima volta.

Poi – horribile dictu – serve fare la “gavetta”. Quest’ultima non è – come amano ripetere i sacerdoti dell’immobilismo e del cattocomunismo – sfruttamento del giovane lavoratore, ma passaggio di competenze. Formazione di futuro. Far dono delle ali per spiccare il volo.

di Fulvio Giuliani

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