La scuola e le cose che non cambiano
“Tutto deve cambiare perché tutto resti com’è”: una frase che rappresenta perfettamente la scuola in Italia. Ciò che sembra subire modifiche, in realtà, rimane praticamente uguale
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La scuola e le cose che non cambiano
“Tutto deve cambiare perché tutto resti com’è”: una frase che rappresenta perfettamente la scuola in Italia. Ciò che sembra subire modifiche, in realtà, rimane praticamente uguale
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“Tutto deve cambiare perché tutto resti com’è”: una frase che rappresenta perfettamente la scuola in Italia. Ciò che sembra subire modifiche, in realtà, rimane praticamente uguale
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“Tutto deve cambiare perché tutto resti com’è”: una frase che rappresenta perfettamente la scuola in Italia. Ciò che sembra subire modifiche, in realtà, rimane praticamente uguale
Non c’è nulla di più gattopardesco della scuola, dove «tutto deve cambiare perché tutto resti com’è». Ogni anno muta puntualmente un aspetto dell’inutilmente costoso e autoreferenziale esame di Stato, senza che si abbia la minima conseguenza sulla didattica (si può cambiare soltanto la fine di un lungo percorso?). Oppure, dopo aver investito soldi e competenze per la didattica a distanza (Dad), ora è assolutamente vietato agli studenti collegarsi da casa, anche se malati per un mese: meglio il nulla che il demonio Dad.
Ogni primavera si organizzano meticolosamente le prove Invalsi: poi però è considerato normale che i risultati indecorosi di aprile siano ribaltati dal voto d’esame e che la restituzione dei dati sia relegata a pochi interessati senza degnarla di alcuna riflessione didattica. Da alcuni anni è stata introdotta in pompa magna l’educazione civica come materia a sé (con tanto di voto): peccato non si dica che le 33 ore annuali sono suddivise in blocchi da due o tre per docente (e ognuno litiga per scansarle), che ciascuno ci faccia rientrare argomenti in qualche modo inerenti a quelli che già normalmente trattava e che i voti vengano dati a turno, con intuibile attendibilità docimologica. Invece di questa ‘recita’ sarebbe più rispettoso – per la dignità della materia – introdurre due ore settimanali di educazione civica e religiosa, tenendo anche conto che per ogni ora di religione vengono pagati due docenti (uno per alternativa) e che per un reale dialogo fra civiltà è indispensabile conoscere le basi sia della propria religione sia delle altre.
Quest’anno il Ministero si fregia del successo dei ‘docenti tutor’ e anche qui nessuno dice che il re è nudo. I tutor, che avrebbero dovuto essere insegnanti di ruolo ed esperienza, dato che non si trovavano sono stati successivamente reclutati anche fra precari o docenti nell’anno di prova con telefonate a casa di supplica o pressione, pur di arrivare in qualsiasi modo al numero minimo. Con un corsetto estivo di 20 ore online sono stati resi perfettamente in grado di aiutare ogni studente a capire le proprie inclinazioni, la validità del proprio metodo di studio, le scelte per il proprio futuro. Peccato non si sappia precisamente quando e come agiranno e – dato il rigoroso metodo di reclutamento – succeda che un precario del biennio professionale debba tutorare 50 ragazzi di quinta liceo completamente sconosciuti. Soltanto i Collegi dei docenti di cinque scuole venete hanno pubblicamente (e onestamente) dichiarato di non avere le competenze per questo ruolo e che accettare sarebbe stato svilire sia la loro professionalità sia quelle di figure titolate come gli psicologi. Invece la maggioranza ha considerato normale che si possa velocemente diventare tuttologi e con un altro corsettino l’anno prossimo si potrà diventare anche esperti di educazione sentimentale.
Da quest’anno si devono inoltre dedicare 30 ore per classe all’orientamento. Grandissima conquista. Peccato che basti scrivere “orientamento” nell’apposita casella del registro ogni volta che si fa un dibattito, si legge un articolo, si racconta un ricordo universitario, si fa un’assemblea di istituto: non è forse tutto ‘orientante’? Basta cambiare nome alle cose e magicamente diventano innovazioni di successo. E i docenti accettano, lamentandosi nei corridoi ma senza la vera volontà di opporsi: in fondo è soltanto qualche modulo in più da compilare, si prende qualche soldo e si fanno le stesse cose con nomi nuovi. «Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus».
di Cristina Agazzi
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