La vera voce dei dinosauri
Da tempo la fiction ci ha abituati a dinosauri che sbucano in notti buie e tempestose, schiacciano file di automobili e si avvicinano agli umani terrorizzati ruggendo come leoni. Ebbene, niente di più sbagliato

La vera voce dei dinosauri
Da tempo la fiction ci ha abituati a dinosauri che sbucano in notti buie e tempestose, schiacciano file di automobili e si avvicinano agli umani terrorizzati ruggendo come leoni. Ebbene, niente di più sbagliato
La vera voce dei dinosauri
Da tempo la fiction ci ha abituati a dinosauri che sbucano in notti buie e tempestose, schiacciano file di automobili e si avvicinano agli umani terrorizzati ruggendo come leoni. Ebbene, niente di più sbagliato
Altro che ruggiti dalla preistoria. Da tempo la fiction – Hollywood, 1993 – ci ha abituato così. Il T-Rex che sbuca in una notte buia e tempestosa, schiaccia file di automobili e si avvicina agli umani terrorizzati ruggendo come un leone. Ebbene, niente di più sbagliato. Non soltanto per l’intuizione narrativa alla base della saga (far rivivere i dinosauri a partire dal Dna conservato nell’ambra fossile: tanto affascinante quanto scientificamente fallace). Ma anche per come il cinema ha scelto di dare voce ai fantomatici rettili del passato.
Con rinnovato grado di certezza, i paleontologi sostengono che molte ricostruzioni sono state influenzate da quel che l’immaginario collettivo odierno intende per versi spaventosi. Su tutti quelli dei grandi felini predatori, che nulla hanno a che fare coi richiami emessi dai dinosauri. Mai come in questi anni si è infatti riusciti a riprodurre il loro antico suono, combinando le tecnologie di ultima generazione ai ritrovamenti di organi mineralizzati. E i risultati smontano ogni spettacolarizzazione, con buona pace di Steven Spielberg e del suo “Jurassic Park”.
Ma dunque che cosa dovremmo sentire, se mai ci ritrovassimo catapultati nelle foreste pluviali del Mesozoico? Di sicuro un gran gracchiare, sulla falsariga dei moderni uccelli. E via via rumori più gravi, a bassa e bassissima frequenza. Qualcosa di analogo alle trombe nautiche o al canto delle balene, fino al limite dell’udibilità umana. Lo spettro sonoro è naturalmente ampio, perché altrettanto variegati si configuravano gli animali che hanno dominato la Terra per 179 milioni di anni. Per forme, caratteristiche e dimensioni: erbivori e carnivori, aviani e non aviani. Da pochi centimetri a 40 metri, da qualche etto a decine di tonnellate. Un microcosmo che si va disvelando man mano che la ricerca paleontologica avanza.
Fra gli esempi più analizzati c’è il Parasaurolophus, un grosso bipede vissuto durante il Cretaceo dal peculiarissimo corno osseo nucale. Grazie ad alcuni crani in ottimo stato di conservazione, già da decenni la tomografia computerizzata aveva consentito di ricostruirne digitalmente la struttura originaria (funzionalità incluse). Negli ultimi mesi però uno studio della New York University ha presentato un ulteriore modello fisico della cresta dell’animale – l’organo responsabile del suo verso – basato sul principio della cassa di risonanza. E i primi output sembrano approssimabili a una specie di clacson. Per i sauri più piccoli è stato invece decisivo il ritrovamento – nelle lande più remote dell’Antartide – di alcuni residui fossili di una siringe. L’organo di fonazione tipico degli uccelli, a riprova che Archaeopteryx e simili tubavano come colombi e starnazzavano come struzzi.
Che dire però dei dinosauri non aviani, cioè quel folto sottogruppo che non ha dato discendenza ai volatili, spazzato via dall’estinzione di massa di 66 milioni di anni fa? Non tutti avevano le specificità del Parasaurolophus, soprattutto quasi nessuno era dotato di una convenzionale laringe. A lungo si era dunque ipotizzato che fossero perfino muti. Ma la rara scoperta di un organo fossile di anchilosauro – un quadrupede corazzato, archetipo del punk – ha permesso di risolvere l’arcano. La gola di questi rettili era composta dalle cartilagini cricoidee giunte fino ai mammiferi, ma disponeva anche dei meccanismi cinetici comparabili alla vocalizzazione degli uccelli (l’indagine è pubblicata su “Nature”).
Insomma, una sorta di anello di congiunzione evolutivo che riporta le ‘lucertole terribili’ a pieno titolo nel diagramma acustico. E sulla corretta lunghezza d’onda, distorta dalle ancestrali reminiscenze dei sapiens. Quando i primi ominidi lottavano per sopravvivere, il loro nemico naturale era la tigre dai denti a sciabola. L’inganno di “Jurassic Park” si deve dunque a quel lontano ruggito, perenne sinonimo di pericolo. Senza bisogno di un faccione da tirannosauro.
Di Francesco Gottardi
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