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Le quote rosa un male necessario per rimediare a mali peggiori

Le quote rosa sono un ‘male’ necessario ma, superate queste, un altro scoglio mentale che ha creato dibattito, scetticismo e perplessità è quello della ‘parità di genere’ nei convegni. Una su mille (magari!) ce la farà.
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Le quote rosa un male necessario per rimediare a mali peggiori

Le quote rosa sono un ‘male’ necessario ma, superate queste, un altro scoglio mentale che ha creato dibattito, scetticismo e perplessità è quello della ‘parità di genere’ nei convegni. Una su mille (magari!) ce la farà.
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Le quote rosa un male necessario per rimediare a mali peggiori

Le quote rosa sono un ‘male’ necessario ma, superate queste, un altro scoglio mentale che ha creato dibattito, scetticismo e perplessità è quello della ‘parità di genere’ nei convegni. Una su mille (magari!) ce la farà.
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Le quote rosa sono un ‘male’ necessario ma, superate queste, un altro scoglio mentale che ha creato dibattito, scetticismo e perplessità è quello della ‘parità di genere’ nei convegni. Una su mille (magari!) ce la farà.
«Chi non cambia mai idea non cambierà mai nulla». Quando si cercano ancoraggi per dare sostanza a pensieri non sempre lineari è rassicurante affidarsi a frasi e citazioni celebri, come questa di Winston Churchill. Sul tema delle quote di genere per esempio sono tanti, tra cui chi scrive, ad aver fatto una vera e propria ‘inversione a u’ nel corso degli anni. La prima reazione alla proposta di legge infatti spesso era di perplessità se non di vera e propria contrarietà, anche da parte delle donne stesse: «Assurdo. Imporre per legge donne nei Consigli di amministrazione non ha senso. Bisogna premiare il merito, non il genere di appartenenza». Tutto giustissimo in un mondo ideale o quantomeno equo. La verità – che si apprende con l’esperienza, con le porte in faccia e con le quotidiane frustrazioni – è che se sei donna non basterà essere eccellente, non sarà sufficiente essere ‘oltre’ tutti gli altri per emergere. Ci sarà sempre bisogno di una convergenza astrale, unita a una serie di condizioni e avvenimenti favorevoli e straordinari. E allora alla fine – forse – una su mille (magari!) ce la farà. Superato il tema delle quote rosa ‘male’ necessario, un altro scoglio mentale ha creato ultimamente dibattito, scetticismo e perplessità: quello della ‘parità di genere’ nei convegni. Le reazioni contrarie più pacate sono state: «Inconcepibile obbligare a inserire una quota di donne nei convegni. Chi è più bravo verrà selezionato. Donna o uomo che sia». Ma anche qui l’esperienza aiuta a mettere meglio a fuoco il tema. Chiunque partecipi a convegni sugli argomenti più svariati può riscontrare una costante ben definita. Quasi sempre uomini sul palco, con qualche spruzzata di elementi femminili: spesso hostess, a volte relatrici, ma sempre in assoluta minoranza. Diciamoci la verità, molti interventi dei professionisti uomini sono di assoluto livello ma la media degli speech è normale, a volte tendente al noioso. È singolare quindi che su tanti temi (medicina, finanza, università, industria…) non si possano trovare esperte che diano il proprio punto di vista. E non in omaggio al politically correct ma per avere punti di vista, pensieri, opinioni, idee differenti. Troppo spesso nei panel italiani si sente solo una voce e si perde così la ‘metà della storia’ in termini di informazione, cultura, prospettive, crescita. Iniziative come “Fill the panel gap” di Valore D o il recente memorandum d’intesa “No Women No Panel – Senza Donne Non Se Ne Parla”, promosso dalla Rai e sottoscritto dalla Presidenza del Consiglio, sono un faro per chi crede nel valore della diversità, della contaminazione. Non a tutti piace, come letto anche su queste stesse pagine. Una politica attiva di diversity management (dove per diversità non si intende solo il genere ma anche l’età, l’orientamento sessuale, le origini etniche, la cultura, le abilità fisiche, ecc.) da parte delle aziende, oltre ad avere una valenza etica, costituisce un punto di forza anche a livello di employer branding. Rafforza infatti l’immagine dell’azienda ma contribuisce anche in termini di performance, poiché in un ambiente in cui tutti si sentono a proprio agio e possono esprimere la propria unicità, le persone sono sottoposte a minor stress, lavorano meglio e sono più motivate. Non solo, l’inclusione delle diversity contribuisce all’innovazione e al cambiamento perché dà modo di fare leva su punti di vista differenti, di valutare e analizzare le cose da diverse angolature che permettono di prendere decisioni con più strumenti e informazioni a disposizionePanel sempre più variegati ed eterogenei nonché lo sviluppo della professione del diversity manager sono piccoli ma fondamentali passi per arrivare a quella agognata e ancora così lontana parità.   di Federica Marotti

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