Naufragano l’umanità e la decenza
Dopo il naufragio del peschereccio diretto in Italia e affondato della notte tra martedì e mercoledì in acque internazionali, a sud del Peloponneso, è di nuovo bufera
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Naufragano l’umanità e la decenza
Dopo il naufragio del peschereccio diretto in Italia e affondato della notte tra martedì e mercoledì in acque internazionali, a sud del Peloponneso, è di nuovo bufera
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Naufragano l’umanità e la decenza
Dopo il naufragio del peschereccio diretto in Italia e affondato della notte tra martedì e mercoledì in acque internazionali, a sud del Peloponneso, è di nuovo bufera
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Dopo il naufragio del peschereccio diretto in Italia e affondato della notte tra martedì e mercoledì in acque internazionali, a sud del Peloponneso, è di nuovo bufera
Ancora, ancora e ancora. Non potrà mai essere l’ultima tragedia, in queste condizioni.
Solo pochi mesi fa restammo sconvolti dal naufragio di Cutro, dalla morte di tanti a centinaia o decine di metri dalle nostre coste. Le polemiche non si sono mai spente, aspettiamo di capire cosa realmente accadde quella notte, cosa si inceppò nella macchina dei soccorsi.
Oggi, non abbiamo neppure idea di quante decine di persone manchino all’appello nel naufragio del peschereccio diretto in Italia e affondato della notte tra martedì e mercoledì in acque internazionali, a sud del Peloponneso. Il Paese più vicino era la Grecia e la Guardia costiera di Atene – reduce dallo sconvolgente video dei migranti lasciati alla deriva nell’Egeo – è di nuovo nella bufera, nel consueto e ributtante balletto di questi casi: “Siamo intervenuti”, “Non sono intervenuti, “Non hanno voluto essere aiutati”, “Hanno ignorato gli appelli”…
La solita litania che accompagna i soliti articoli, i soliti commenti, i soliti bilanci spaventosi e inevitabilmente imprecisi. La conta delle vittime si “ferma” a 79, ma è una cifra priva di senso: in 104 – tutti uomini – sono stati tratti in salvo. Nessuno sa dire quante fossero le anime a bordo di quel rottame inabissatosi lì dove il Mar Mediterraneo è più profondo, l’abisso di Calipso con i suoi 5100 metri di profondità.
Da Tobruk, nella Libia del generale Haftar, il peschereccio era salpato con un numero imprecisato di persone stipate ovunque. Si dice fra le 500 e le 700. I calcoli sono presto fatti e raggelanti, così come le testimonianze dei sopravvissuti, secondo le quali donne e bambini erano tutti sotto coperta.
È un fatto che l’allarme sia stato lanciato, un altro fatto è che al momento del disastro non ci fossero navi pronte a soccorrere. Questa vergogna deve finire, il controllo dei mari e la macchina dei soccorsi deve essere sottratta alla responsabilità, al peso e alle polemiche dei singoli Paesi. Grecia e Italia sono i confini meridionali dell’Unione europea, va organizzata una macchina di controllo e soccorso dell’Ue, con tanto di rete di approdi e prima accoglienza centralizzata e cessione di sovranità.
Sembra fantascienza, lo sappiamo, per un’Unione che solo la scorsa settimana non è riuscita a varare i ricollocamenti obbligatori, ma o si fa qualcosa di concreto, coraggioso e definitivo (certo, anche gli accordi con i Paesi di partenza, ma non basta) o continueremo a contar morti.
Quando si possono contare, perché nel caso di ieri probabilmente non sapremo mai in quanti abbiano perso la vita. Non vedremo che una manciata di rottami di quelle vite spezzate, dispersi nelle acque di nessuno. Per troppi sarà facile voltarsi dall’altra parte o limitarsi a dire: “La colpa è dei greci“. Spetterà ad altri appurare le colpe, mentre l’umanità la stiamo smarrendo tutti.
di Fulvio Giuliani
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