Quello delle molestie sessuali è un tema tanto delicato quanto complesso. Nonostante esso si configura nel quadro del delitto di “violenza sessuale”, un vero e proprio reato contro la persona disciplinato dal Codice penale, per molti uomini la questione assume così poca importanza tanto quanto la gravità delle conseguenze generate nelle vittime.
È soprattutto a partire dal “MeToo”, il movimento femminista contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne, nato nell’ottobre 2017 per dimostrare la diffusione di abusi soprattutto sul posto di lavoro subiti dalle donne, che il caso si è acceso sempre di più.
Tutto ebbe inizio dopo le rivelazioni pubbliche di accuse di violenza sessuale contro Harvey Weinstein, il produttore cinematografico americano che per decenni ha usato la propria posizione privilegiata per molestare attrici, modelle e dipendenti della sua azienda. Le donne che in seguito lo hanno denunciato erano state intimidite o spinte a stipulare accordi che imponevano loro il silenzio in cambio di ingenti somme di denaro.
I primi mesi dopo l’affare Weinstein sembrarono segnare una svolta. Attraverso l’hashtag #MeToo sui social, le donne erano state invitate a raccontare la loro esperienza per dare risalto alla grandezza del problema e aiutarle così a non sentirsi sole o in colpa.
Quella prima presa di parola collettiva diede vita a un’ondata globale, mobilitando la maggior parte dei Paesi a prendere provvedimenti attorno alla questione. È in questo modo che sono nate azioni collettive di donne, sono state approvate leggi e avviati processi, ci sono stati licenziamenti o dimissioni, sono state avviate e vinte trattative per la parità salariale.
Hanno fatto discutere gli abusi di cui è stata vittima Dayane Mello in diretta tv nel reality brasiliano “La Fazenda”. La modella, infatti, nonostante i suoi continui rifiuti, sarebbe stata molestata da uno dei concorrenti, il rapper Nego do Borel (poi espulso dal programma), che aveva continuato a dedicarle attenzioni non richieste.
Anche Emily Ratajkowski, famosa top model e attrice statunitense, ha recentemente scritto un libro all’interno del quale denuncia il cantante Robin Thicke per le molestie subite durante le riprese di un videoclip nel 2013.
Una pratica spregevole, che prende il nome di victim-blaming, con cui a essere incriminata è la vittima e non il colpevole, costringendola a subire i soprusi una seconda volta.
Cosa resta, allora, di tutte le battaglie portate avanti in nome dei diritti delle donne se tanti uomini tutt’oggi se ne approfittano del loro corpo e queste ultime subiscono le critiche di chi crede di possedere la verità?
A tal proposito, esemplare è stata la risposta che la cantante Elodie ha dato pochi giorni fa con un monologo nella trasmissione “Le Iene”. “Noi non dobbiamo mai sentirci in colpa. Non dobbiamo mai proteggere gli uomini perché gli uomini non sono i nostri figli e quando sbagliano è giusto che paghino […]. Molti uomini hanno paura e vogliono dominarci, controllarci, difenderci. Come se fossimo la loro proprietà. Io non voglio essere difesa, voglio essere compresa. Non voglio essere giudicata, voglio essere ascoltata. Perché quello che sono vale, ci ho messo tanti anni per essere quella che sono oggi”, ha detto la cantante, riferendosi non solo alla vicenda di Dayane Mello, ma a tutte le donne vittime di uomini che non sono tali.
In questi casi è sempre bene ricordare che la colpa non è mai da attribuire alla donna e che, ancora una volta, comportamenti del genere possono essere combattuti solo con una svolta culturale a partire dall’educazione contro la violenza, gli stereotipi di genere e la discriminazione delle donne in qualsiasi ambito, affinché tali atteggiamenti continuino a non ripetersi più.
Di Alessia Luceri
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