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Perché pubblicare quella lettera è stato un errore

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Pubblicare la lettera della mamma che ha lasciato la sua bimba alla culla della vita di Bergamo non è solo una questione di privacy ma molto di più

Perché pubblicare quella lettera è stato un errore

Pubblicare la lettera della mamma che ha lasciato la sua bimba alla culla della vita di Bergamo non è solo una questione di privacy ma molto di più
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Perché pubblicare quella lettera è stato un errore

Pubblicare la lettera della mamma che ha lasciato la sua bimba alla culla della vita di Bergamo non è solo una questione di privacy ma molto di più
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Dopo gli ultimi fatti di cronaca in merito ai bimbi lasciati alle culle della vita, prima alla Mangiagalli di Milano e l’ultimo a Bergamo, presso la Croce Rossa, si è fatto un gran parlare di un tema così delicato quale è la gravidanza. Se n’è parlato tanto ma senza tutelare le donne che scelgono di non tenere i propri figli. Sulla vicenda della bimba di Bergamo è sfuggito un “dettaglio” di grande importanza quando si parla di diritti: la privacy. “Libere di non tenere il bambino, ma…” La storia della bimba Noemi è stata raccontata su tutti i giornali e sui social con tanto di foto della lettera che la madre ha lasciato con la  piccola: “A casa, solo io e lei (come in questi 9 mesi). Non posso, ma le auguro tutto il bene e la felicità del mondo. Un bacio per sempre (dalla mamma). Vi affido un pezzo importante della mia vita, che sicuramente non dimenticherò mai”. Una lettera straziante, nove mesi affrontati in totale solitudine dalla donna, l’ennesimo grido d’aiuto di una vicenda rimasta privata nel momento del bisogno salvo poi diventare di dominio pubblico nel momento in cui “faceva notizia”. Era davvero necessario pubblicare la foto di un testo così intimo e personale, che supera il confine della privacy? Stiamo davvero trattando questi episodi di cronaca nel migliore dei modi o forse si potrebbe fare di più? Invece di pubblicare la foto – esponendo la diretta interessata ad un possibile riconoscimento attraverso la calligrafia – non sarebbe stato più saggio approcciarsi in maniera più riservata a questa storia? Vicende così dovrebbero garantire davvero il diritto all’anonimato e non per sentito dire. Quanto meno per consentire alle donne che vivono casi simili di non temere di poter essere riconosciute e al tempo stesso  di elaborare con i propri tempi episodi che segnano la vita di una persona; la paura invece è che possano  ritrovare la loro storia  sbattuta sulle prime pagine di un giornale. Affinché si sentano davvero libere e tutelate, nel rispetto totale della privacy, com’è giusto che sia.  Di Claudia Burgio

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