Quei numeri che non ci fanno onore
La bassa occupazione femminile in Italia (53,2%), rispetto a Francia (70,2%) e Germania (75,9%), ha ripercussioni sulla crescita economica di tutto il Paese.
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Quei numeri che non ci fanno onore
La bassa occupazione femminile in Italia (53,2%), rispetto a Francia (70,2%) e Germania (75,9%), ha ripercussioni sulla crescita economica di tutto il Paese.
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La bassa occupazione femminile in Italia (53,2%), rispetto a Francia (70,2%) e Germania (75,9%), ha ripercussioni sulla crescita economica di tutto il Paese.
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La bassa occupazione femminile in Italia (53,2%), rispetto a Francia (70,2%) e Germania (75,9%), ha ripercussioni sulla crescita economica di tutto il Paese.
Il lavoro femminile non è solo una questione di parità di genere ma anche di numeri. E le cifre parlano in modo chiaro ed evidente: 370 miliardi di euro l’anno è la perdita economica che la Commissione europea stima sia generata dalla mancanza di occupazione delle donne. Questo in tutto il Vecchio Continente, ma se ci mettiamo a guardare in casa nostra la situazione è sconfortante: una donna su due tra i 20 e i 64 anni non lavora, solo la Grecia è messa peggio di noi. Per dare un’idea: in Francia la percentuale di occupazione femminile è al 70,2%, in Germania al 75,9% mentre da noi si ferma al 53,2% e questo ha ripercussioni sulla crescita economica in generale.
Lungi dall’essere meramente una questione di parità, la necessità di intervenire dovrebbe essere pertanto evidente anche solo a chi bada ai conti. A questo si unisce un altro tema ampiamente dibattuto: quello della natalità e, quindi, delle politiche a sostegno delle famiglie. Laddove le donne lavorano in percentuale maggiore fanno anche più figli. Una differenza clamorosa rispetto al passato, quando il successo professionale veniva vissuto a scapito di una realizzazione personale e familiare. In realtà la questione è semplice: dove vi sono più risorse economiche, progettare una famiglia risulta più semplice. Una volta non era per forza così, oggi la realtà è questa.
Per non parlare dei talenti dispersi: se a livello scolastico le donne si diplomano di più e conseguono spesso risultati migliori anche all’università e nei master, al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro tutto si ribalta. A cominciare dai salari. Una situazione già nota e che il Covid non ha fatto che peggiorare, perché – come in passato – gli oneri di assistenza all’interno del nucleo familiare vengono per lo più svolti dalle donne. Come al solito, non tutta l’Italia si comporta allo stesso modo: al Nord i tassi di occupazione femminile sono vicini a quelli del resto d’Europa, ben peggiore è la situazione al Sud. Anche qui, questioni annose che invece di risolversi sembrano incancrenirsi e concatenarsi fra loro (meno opportunità, meno lavoro, meno voglia di metter su famiglia, meno figli), con il risultato di allargare divari storici senza che si riesca a introdurre misure strutturali di alcun tipo. Eppure di certo è cambiata la mentalità, non esiste più l’idea che la normalità sia quella di un nucleo in cui l’uomo lavora e la donna resta a casa. Adesso è questione di opportunità e di reti di sostegno.
Non c’è (non dovrebbe esserci) niente di ideologico: dal lavoro femminile deve arrivare un decisivo incremento della produttività nel nostro Paese. Converrebbe a tutti.
Di Annalisa Grandi
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