Temptation Island, la tv diseducativa capace di educare
Drammi familiari, litigi e poi riappacificazioni. Sono i people show, spettacoli televisivi che fanno leva sulle emozioni dei partecipanti – solitamente persone comuni – ma soprattutto del pubblico da casa. Un genere che resiste alle novità di un panorama mediale sempre più vasto.
Temptation Island, la tv diseducativa capace di educare
Drammi familiari, litigi e poi riappacificazioni. Sono i people show, spettacoli televisivi che fanno leva sulle emozioni dei partecipanti – solitamente persone comuni – ma soprattutto del pubblico da casa. Un genere che resiste alle novità di un panorama mediale sempre più vasto.
Temptation Island, la tv diseducativa capace di educare
Drammi familiari, litigi e poi riappacificazioni. Sono i people show, spettacoli televisivi che fanno leva sulle emozioni dei partecipanti – solitamente persone comuni – ma soprattutto del pubblico da casa. Un genere che resiste alle novità di un panorama mediale sempre più vasto.
Drammi familiari, litigi e poi riappacificazioni. Sono i people show, spettacoli televisivi che fanno leva sulle emozioni dei partecipanti – solitamente persone comuni – ma soprattutto del pubblico da casa. Un genere che resiste alle novità di un panorama mediale sempre più vasto.
La cosiddetta “tv delle emozioni” ha radici profonde. Pioniera in Italia è stata la regina della televisione, Raffaella Carrà, spentasi recentemente a causa di una malattia, che con il varietà ha dapprima rivoluzionato il piccolo schermo e poi inventato il genere dell’intrattenimento emotivo. Un genere che non solo continua ad essere presente nel palinsesto, ma si rinnova continuamente.
Da diversi anni a questa parte, il trionfo della spettacolarizzazione dei sentimenti è impersonato da un programma che è la rappresentazione più compiuta di ciò che oggi sembra interessare maggiormente al pubblico televisivo: parliamo di “Temptation Island”, l’emotainment che si trasforma in “trash”.
Analizzandolo nel profondo, però, ci si accorge che questo programma va ben oltre il trash. In Temptation Island, che al suo interno vanta la presenza autoriale di Maria De Filippi, c’è tutto: corna, gelosia e strafottenza, tanto che potrebbe essere visto come un interessante esperimento sociale utile per capire come funzionano le relazioni tossiche.
Sempre più spesso si sente parlare di tossicità di una relazione, a volte anche a sproposito, tanto da darne una definizione errata. Il meccanismo del programma, invece, riesce a rappresentarla in tutta la sua “crudeltà”: frasi come “per me il suo corpo è sacro, non lo deve mostrare”, oppure “sai quanto sono malato”; o ancora “lei è proprio stupida” mostrano il logoramento di questo tipo di relazioni.
Quello a cui i telespettatori assistono in prima serata non è semplice gelosia, ma la resa televisiva di una relazione tossica a tutti gli effetti. Non si tratta più delle liti per tornare alla ribalta al “Grande Fratello Vip”, della storia strappalacrime a “C’è posta per te” o dei siparietti con pseudo-vip nei programmi di Barbara D’Urso.
E qui la questione viene naturale: cosa spinge a rappresentare uno spettacolo del genere davanti a milioni di persone?
È risaputo che questo tipo di programmi solitamente sono considerati “leggeri”, ideali da guardare da soli o in compagnia, a chiudere una pesante giornata di lavoro. Se a ciò si aggiunge che il pubblico desidera proprio immedesimarsi nelle storie dei protagonisti, viverle fino in fondo quasi fino a parlare al posto loro, il successo è assicurato. In un momento storico difficile, in cui le relazioni tossiche purtroppo sono al centro della cronaca, mostrare le dinamiche di una coppia sbagliata è una scelta forte. Tra i vari meriti di Maria De Filippi, però, vi è quello di intercettare la realtà e raccontarla attraverso i suoi programmi. Questa trasmissione ne è un esempio lampante e, oltre alla leggerezza propria del genere, un merito gli va dato: quello di mostrare agli occhi del grande pubblico la miseria delle relazioni malsane, aiutando chi vive situazioni simili a uscire da questi meccanismi deviati. Nonostante il settore audiovisivo e, nello specifico, il panorama delle OTT stia vivendo un momento di trasformazione epocale, questo genere televisivo è più forte che mai, come dimostrano i dati Auditel: circa 27 milioni d’individui nei mesi non estivi fruiscono soprattutto della programmazione d’intrattenimento. Il problema relativo alla diseducatività di alcuni programmi non dovrebbe più esistere. È dagli anni ‘60 in poi che alla televisione non spetta più il compito di educare: chi decide di fruire dei contenuti del palinsesto televisivo compie una scelta consapevole. Con tutti i pro e i contro che ne derivano. Inutile lamentarsi della televisione mentre la si guarda. Di Alessia LuceriLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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Tag: spettacoli, televisione
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