“Mare fuori” arriva alla terza stagione tra temi complessi e grandi aspettative
Ci sono serie tv che pur romanzandole raccontano realtà che diversamente restano lontane dai riflettori. E quando queste serie hanno successo, è una bella notizia. Lo è la grande attesa che si è creata intorno alla terza stagione di “Mare Fuori”, che racconta le vicende di un gruppo di ragazzi detenuti in un Istituto di pena per minori.
Girato nel vero Ipm di Nisida, uscito in sordina con la prima stagione, piano piano di passaparola in passaparola è diventato uno dei prodotti più visti su Netflix. La nuova serie sarà in esclusiva prima su RaiPlay e poi in onda su Rai2. Non è un caso, visto il successo delle prime due stagioni, che la Rai abbia scelto di mandarla in onda per prima. Cast tutto Made in Italy, i protagonisti li abbiamo visti poi in altri film e produzioni, ma “Mare Fuori” resta per molti di loro la vera vetrina. Una vetrina difficile perché difficile è il tema affrontato nella serie, perché di questi ragazzi si fa fatica a parlare. Perché a volte è più facile chiudere gli occhi. Invece vederli raccontati, seppur romanzati, aiuta a comprenderli. A giudicarli meno forse. O in ogni caso, a “vederli”.
Come successo per un’altra serie “Tutto chiede salvezza”, quella però autobiografica, anche a “Mare Fuori” va riconosciuto il merito di catalizzare pubblico raccontando temi complessi. È bello che lo si faccia con produzioni italiane. È bello che il pubblico risponda. E chissà che non venga esaudito il desiderio del produttore di vedere i ragazzi cantare la sigla della serie sul palco di Sanremo.
Intanto, su YouTube ha oltre 17milioni di visualizzazioni. E comunque vada, c’è il mare fuori.
di Annalisa Grandi
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