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Sanremo trattori

Sanremo e il buio dietro al palco

Ecco perché Sanremo – il Festival della canzone italiana – è la vera autobiografia della nazione nell’emblematica “protesta dei trattori”
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Sanremo e il buio dietro al palco

Ecco perché Sanremo – il Festival della canzone italiana – è la vera autobiografia della nazione nell’emblematica “protesta dei trattori”
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Sanremo e il buio dietro al palco

Ecco perché Sanremo – il Festival della canzone italiana – è la vera autobiografia della nazione nell’emblematica “protesta dei trattori”
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Ecco perché Sanremo – il Festival della canzone italiana – è la vera autobiografia della nazione nell’emblematica “protesta dei trattori”
Se il povero Piero (Gobetti) fosse ancora fra noi dovrebbe aggiornare la sua frase più famosa – «Il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l’autobiografia della nazione» – e rivederla alla luce dei fatti di cronaca presi a caso un po’ di qua e un po’ di là e dire: «Il Festival di Sanremo è l’autobiografia della nazione». Mettendo insieme Achille Campanile – «Il povero Piero» è suo – Guglielmo Giannini, Gabriele D’Annunzio, Pippo Baudo e Antonio Gramsci con la filosofia del nazionalpopolare, Amadeus e Fiorello e, naturalmente, Beppe Grillo con la sua storica frase contro Sanremo detta a Sanremo: «E noi lì, diciotto milioni di rincoglioniti…». Mettiamo le cose in ordine. C’è la protesta degli agricoltori che è stata definita “la protesta dei trattori”. Amadeus ha preso il trattore al balzo e ha detto: «Sono pronto ad aprire le porte della protesta agli agricoltori». Fiorello ha aggiunto: «Sarebbe bene che arrivassero perché Sanremo è un palcoscenico importante e una mucca sul palco dell’Ariston sarebbe bellissima». È quasi scontato che accada (poi, magari, quando sarà pubblicato questo articoletto la cronaca si sarà portata avanti, ma il senso-nonsense delle cose rimane il medesimo). Con questa storia della mucca aveva iniziato il povero Pierluigi (Bersani): «Poi ti ritrovi la mucca nel corridoio». A furia di mandare tutto in vacca alla fine la mucca arriva per davvero perché – come recitava lo slogan di Odeon – «Tutto quanto fa spettacolo». E proprio questo è il punto che Pieruccio Gobetti aveva colto benissimo in quel suo storico articolo intitolato “Elogio della ghigliottina” e pubblicato su “La Rivoluzione Liberale”: «Amici miei – aveva già anticipato Monicelli e Tognazzi, aggiungiamo noi – la lotta tra serietà e dannunzianesimo è antica e senza rimedio». Ecco perché Sanremo – il Festival della canzone italiana – è la vera autobiografia della nazione: perché la vita è tragica ma il carattere nazionale è la commedia e la indistinzione fra reale e immaginario è il fondamento della comoda credulità, praticamente un alibi, che tutto si possa risolvere con l’Albero degli zecchini d’oro. Ma sì, dai, portiamo tutto in televisione, sul palcoscenico di Sanremo che va in onda a febbraio ma dura tutto l’anno, perché l’auto-rappresentazione della commedia che siamo ci piace e ci assolve dalle cialtronate. Tanto tutti sappiamo ciò che disse lo stesso Grillo – Beppe, non quello di Pinocchio – nello stesso discorso sanremese: «In televisione la verità non esiste. Nulla è vero in tv». E allora, se la verità non esiste tutto è permesso, tutto si può dire, tutto può essere rappresentato come se fosse vero e non lo è. Avanti con la mucca Carolina, avanti con i trattori e con la ruspa di Salvini che nel frattempo è di nuovo al governo e avrebbe il dovere di costruire. «Ma a un popolo di dannunziani – ancora Pieruccio – non si può chiedere spirito di sacrificio». Lo dice bene la battuta da avanspettacolo – Sanremo è un eterno avanspettacolo – «Vai avanti tu che a me viene da ridere». Se Sanremo fosse soltanto Sanremo, una gara canora, sarebbe a tutti indifferente. Invece è un disastro, è un’indicazione di infanzia perenne, segna il trionfo della faciloneria, dell’ottimismo senza volontà, dell’entusiasmo ottuso, del sentimentalismo senza cuore, della morale di Tartufo e di Pantalone. È, appunto, l’autobiografia della nazione che racconta che non sono i governanti ad avere animo di padroni ma gli italiani ad avere animo di servitori. Ma non è il caso di vedere troppo nel buio, perché emerge la tragedia. Meglio il velo della commedia. Avanti con il primo concorrente. di Giancristiano Desiderio

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