Un anno fa si spalancarono le porte dell’inferno
Bucha, il simbolo delle atrocità dell’esercito russo: più di 175 persone trovate in fosse comuni e camere di tortura
Un anno fa si spalancarono le porte dell’inferno
Bucha, il simbolo delle atrocità dell’esercito russo: più di 175 persone trovate in fosse comuni e camere di tortura
Un anno fa si spalancarono le porte dell’inferno
Bucha, il simbolo delle atrocità dell’esercito russo: più di 175 persone trovate in fosse comuni e camere di tortura
Bucha, il simbolo delle atrocità dell’esercito russo: più di 175 persone trovate in fosse comuni e camere di tortura
Bucha – «33 giorni di occupazione. Più di 1.400 morti, di cui 37 bambini. Più di 175 persone sono state trovate in fosse comuni e camere di tortura. 9mila crimini di guerra russi. 365 giorni da quando questa città è di nuovo libera. Il simbolo delle atrocità dell’esercito del Paese occupante. Non perdoneremo mai. Puniremo tutti i responsabili». Il presidente Zelensky ha ricordato così l’anniversario ricorso ieri della liberazione di Bucha. Ciononostante, da stamattina, il rappresentante del Paese che s’è macchiato di quegli orrori presiede il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Non state leggendo un “pesce d’aprile” ma una delle “prime volte” riservate dall’Onu alla Federazione Russa. Mai nella storia, infatti, il Consiglio di sicurezza dell’organizzazione intergovernativa più grande, conosciuta e rappresentata è stato presieduto da un Paese guidato da chi è indagato per crimini di guerra. Né mai è stato concesso ad alcuni d’ereditare posizione e diritto di veto acquisiti da altri, come è stato fatto per la Federazione Russa con l’Unione Sovietica.
Proprio ieri, a 100 metri dall’Onu (nella sala 866 dell’United Nations Plaza di New York), è stata inaugurata la mostra internazionale “Ukraine. Crucifixion. Tribunal”. Creata dal Museo nazionale di storia dell’Ucraina nella Seconda guerra mondiale e dalla Fondazione Bohdan Gubsky “L’Ucraina del 21º Secolo” con il patrocinio dell’Ufficio della Presidenza ucraina, la mostra raccoglie più di mille reperti unici provenienti anche da Bucha, in grado di testimoniare l’efferatezza dei crimini perpetrati durante l’occupazione rascista. Tra essi figura la mappa di Kyiv, con evidenziate le strutture chiave in cui erano ubicate le forze armate e di polizia della capitale, con i punti strategici da colpire per puntare dritti a Zelensky e al Parlamento.
Esposta interamente, la porta del seminterrato di una scuola di Yagodnoye (Chernihiv) in cui i russi hanno confinato per un mese 360 persone reca un calendario – scritto a mano a carboncino – e due liste: in una i nomi di chi è stato fucilato dai russi, nell’altra quelli di chi è impazzito e ha infine ceduto per le condizioni insopportabili. Un laptop Apple, forato dal proiettile che ha ucciso chi per portarselo via l’aveva sostituito alla piastra balistica del proprio giubbetto antiproiettile, è una delle tante prove di saccheggi e ruberie russe esibite. Nella pagina del diario di un ufficiale russo esposta alla mostra si legge: «La Storia chiamerà le nostre azioni un secondo hitlerismo e organizzerà un’altra Norimberga». In effetti, proprio oggi verrà presa in esame alle Nazioni Unite la proposta di creare un tribunale internazionale in grado di giudicare la Federazione Russa per i crimini compiuti in Ucraina e punirne mandanti ed esecutori.
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A un anno dalla liberazione di Bucha, da italiano e testimone di quegli orrori non posso dimenticare chi nel mio Paese ha confutato tutto questo senza esser mai stato nemmeno un giorno qui, in Ucraina. Dal caldo dei salotti televisivi italiani e sui rotocalchi compiacenti veniva infatti scritta quella che sarebbe divenuta poi la tesi ufficiale del Cremlino. Un’altra vergogna da non dimenticare.
Di Giorgio Provinciali
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