Gli Dei del cinema salvino Woody
Gli Dei del cinema salvino Woody
Gli Dei del cinema salvino Woody
Non potendo avere tutti i divi che si sarebbe meritata – Bradley Cooper, Carey Mulligan, Léa Seydoux, Emma Stone fra i tanti bloccati dallo sciopero (o solidali allo sciopero) del sindacato attori USA –, l’80esima Mostra si gode i suoi registi di gran fama, che illuminano tappeto rosso e sala stampa. Alcuni giudicano i colleghi (i premi Oscar Chazelle e Campion, presidente e membro della giuria del Concorso). Altri (Fincher, Mann) con coraggio, accettano di farsi giudicare. I grandi vecchi scorrazzano, con alterni risultati (Allen, Cavani) fuori gara. Il 90enne Polanski resta a casa, ed evita l’onta (eccessiva?) al suo modesto «The Palace». Friedkin addirittura, scomparso lo scorso luglio, saluta sul campo (il postumo «The Caine Mutiny»). È Storia, del cinema, già scritta. Si unisce allo squadrone anche Wes Anderson. Il 54enne autore americano di «I Tenenbaum» e «Grand Budapest Hotel» al Lido è stato protagonista di una seguitissima masterclass. Lunghe file, sala stracolma. Il rapido tutto esaurito miete non poche vittime, costrette a seguire la lezione del regista in diretta streaming sul sito della Biennale. Il pubblico è per la maggior parte tra i venti e i trent’anni. Ragazze e ragazzi appassionati ed esperti, per cui Wes è una vera rockstar. Un gruppetto di fan risponde, senza vuoti fanatismi, alla domanda: «Il motivo per cui ci piace così tanto? Perché fa un cinema unico nel suo genere»; «I suoi film sono molto ripetitivi, è vero. A volte nel guardarli ti perdi, ma perdersi è bellissimo»; «Ogni inquadratura è un’opera d’arte». Alla Mostra Wes Anderson ha presentato «The Wonderful Story of Henry Sugar», 40 stilosissimi minuti da un racconto di Roald Dahl. Il 14 settembre esce in Italia «Asteroid City», 104 (estenuanti) minuti, passati all’ultimo Festival di Cannes.
Il concorso supera il giro di boa con due bei film. Il giapponese «Il male non esiste» Ryusuke Hamaguchi è la storia di un padre e la sua bimba in lotta, sussurrata ma intensa, contro la mercificazione turistica del loro angolo di paradiso naturale. Opera zeppa di funzionali silenzi. La noia – a tratti profonda – è desiderata, scritta in sceneggiatura. E doverosa. Ma il finale fin troppo aperto accende il dubbio che non tutto sia centratissimo, nel potente film dell’autore premio Oscar per «Drive my Car». Che resta il suo migliore.
Il nuovo ritratto di ragazza di Sofia Coppola è dedicato alla giovane signora Presley. E ne porta il nome, «Priscilla». Distante anni luce dal roboante «Elvis» di Buzz Luhrmann, dedicato al rocker leggendario, la Coppola applica il rigore e la sottrazione. E affida il ruolo da protagonista alla giovane, ottima , Cailee Spaeny che si candida quasi incontrastata al Premio Mastroianni per il migliore attore o attrice emergente.
Il 50esimo film da regista di Woody Allen, una delle migliori menti occidentali a cavallo tra i due secoli, è similare alla maggior parte degli altri 49. Eppure, allo stesso tempo, ci si rende conto di quanto sia diverso. Come quasi sempre succede, di fronte all’intera filmografia di Allen. «Coup de chance» girato in Francia, con lingua e attori francesi e nessuna maxi star, è una storia di tradimento e vendetta che si consuma nell’altissima e ricchissima borghesia parigina. Alla proiezione stampa di prima mattina, la Mostra tira un respiro di sollievo. Nessun passo falso di Woody, che anzi arricchisce il suo mito (battute come: « chi riesce a sparare a un cervo guardandolo negli occhi, è capace di infanticidio»). L’87enne regista newyorkese vince così a mani basse il duello fuori gara, con l’altro maestrone Roman Polanski.
Di Federico Fumagalli
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