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femminicidio rieducare le donne

Femminicidi, rieducare anche le donne

L’ennesimo “ultimo appuntamento” che si trasforma in tragedia e che andrebbe evitato. Non si tratta di vittimizzazione secondaria ma del tentativo di salvare una vita in più
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Femminicidi, rieducare anche le donne

L’ennesimo “ultimo appuntamento” che si trasforma in tragedia e che andrebbe evitato. Non si tratta di vittimizzazione secondaria ma del tentativo di salvare una vita in più
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Femminicidi, rieducare anche le donne

L’ennesimo “ultimo appuntamento” che si trasforma in tragedia e che andrebbe evitato. Non si tratta di vittimizzazione secondaria ma del tentativo di salvare una vita in più
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L’ennesimo “ultimo appuntamento” che si trasforma in tragedia e che andrebbe evitato. Non si tratta di vittimizzazione secondaria ma del tentativo di salvare una vita in più
Quasi tutte avevano denunciato, tutte avevano detto basta. Ma non è bastato.  Lo avevamo scritto l’altro giorno che sarebbe accaduto di nuovo, tra un paio di giorni al massimo. E così è stato: 48 ore hanno separato l’omicidio di Rossella Nappini, l’infermiera di Roma, e Marisa Leo, 39 anni, mamma di una bambina di tre anni, uccisa oggi a colpi di pistola. Tra qualche giorno i loro nomi verranno cancellati dalle nostre memorie e diventeranno solo due numeri in una lista già lunga che continuerà a crescere. Oggi più che mai non possono non riecheggiare nella testa le parole del pm Letizia Mannella utilizzate nel corso della conferenza stampa a margine del ritrovamento del cadavere della povera Giulia Tramontano, uccisa incinta di 7 mesi dal compagno Alessandro Impagnatiello: “Non accettate quell’ultimo appuntamento, non andateci” aveva suggerito a tutte le donne in quella circostanza. Un “no” che per l’amante di Impagnatiello, per esempio, aveva fatto la differenza tra la vita e la morte: la ragazza si  salvò solo perché non lo fece salire in casa. Sentite queste parole, qualcuno parlò di vittimizzazione secondaria, un tentativo di spostare l’attenzione sulla vittima anziché sulle responsabilità dell’assassino. Non era certo quello il caso. Chi lancia questi appelli sa fin troppo bene di cosa parla: conosce la psicologia di questi uomini, le mosse di una partita a scacchi quasi sempre uguale.   E’ evidente che lo Stato, in questa partita, stia fallendo, non riuscendo a tutelare queste donne come dovrebbe e vorrebbe. Scoprire che molte di quelle uccise, in passato, avevano già denunciato il proprio aguzzino è motivo di grande scoramento. Per noi tutti come per chi vive questo incubo ogni giorno. Queste donne hanno bisogno di un piano di protezione reale e di assistenza psicologica che aiuti loro a rimarginare le ferite subite; spesso sono donne che sviluppano una dipendenza malsana nei confronti dei loro carnefici,  espressione di un animo calpestato ormai incapace di distinguere il bene dal male. Non è vittimizzazione secondaria questa, ma la realtà dei fatti riportata da chi ha le scrivanie ricolme di fascicoli praticamente tutti identici, plichi che trasudano sangue.   Uomini e donne vanno rieducati e aiutati in questo difficile percorso che li renda liberi, gli uni dagli altri. 

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