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Censura sui Simpson

I Simpson strangolati dal buonismo

Homer annuncia di archiviare uno dei suoi marchi di fabbrica. Ma anche se gli autori della serie negano, la metamorfosi conformista era iniziata da tempo
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I Simpson strangolati dal buonismo

Homer annuncia di archiviare uno dei suoi marchi di fabbrica. Ma anche se gli autori della serie negano, la metamorfosi conformista era iniziata da tempo
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I Simpson strangolati dal buonismo

Homer annuncia di archiviare uno dei suoi marchi di fabbrica. Ma anche se gli autori della serie negano, la metamorfosi conformista era iniziata da tempo
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Homer annuncia di archiviare uno dei suoi marchi di fabbrica. Ma anche se gli autori della serie negano, la metamorfosi conformista era iniziata da tempo
Dieci secondi di luttuoso girato. «Vedi Marge» dice Homer Simpson. «Strangolare il ragazzo ha dato i suoi frutti. Scherzo, non lo faccio più: i tempi sono cambiati». Succede nella 35esima stagione di una delle serie animate più longeve e popolari di sempre. Che alla puntata 753 – settecentocinquantatré: come sugli assegni, scritto in lettere rende meglio l’idea – sembra gettare la maschera e abbandonare uno dei suoi sketch più emblematici. Le mani del moderno pater familias al collo del pestifero Bart, a suon di «brutto bagarospo» – nella mitica interpretazione italiana di Tonino Accolla – mentre gli occhi e la lingua del figliolo si dilatano a dismisura. Dal 1989 in poi, la scena si è ripetuta per oltre 140 volte. In chiave satirica, naturalmente. Mica per istigare alla violenza domestica. Ma appunto, «i tempi sono cambiati» e il politicamente corretto ormai non risparmia nemmeno i dissacranti Simpson. Questa è stata l’interpretazione di media e appassionati, quando l’episodio in questione è andato in onda lo scorso 22 ottobre negli Stati Uniti. Eppure, l’autocensura non c’entra. «Niente è cambiato, niente è stato ammansito» spiega James Brooks, il produttore esecutivo della serie, al magazine “People”. «Bart continuerà a essere strozzato e amato da suo padre nella sua personalissima maniera». Dunque, nel caso specifico, non sarebbe stato Matt Groening – il creatore dei Simpson – a parlare attraverso Homer ma il personaggio Homer a fare dell’ironia priva di messaggi subliminali.
Fa piacere sentirlo. Fa piacere vedere la vivace risposta a mezzo social, dove la famiglia di Springfield comunica che «Homer è troppo impegnato a strangolare Bart  per commentare». E sotto, la vignetta-tipo con la parola clickbaiting al posto di bagarospo. Ma è una magra consolazione. Il problema di fondo è che l’umorismo dei Simpson non si fa più capire: oggi è più facile credere che lo show abbia abbracciato la causa woke, anziché continui a scherzare su tematiche diventate tabù. Perché una storia senza fine alla lunga si scarica di contenuti. L’originale lascia posto al prevedibile. E l’irriverente al conformista.
Piuttosto che optare per un congedo di qualità, Groening e soci hanno preferito adattarsi. Era già successo con il personaggio di Apu, il commerciante indiano che – disse Hank Azaria, suo doppiatore originale – avrebbe «fomentato il razzismo sistemico negli Stati Uniti». Era il 2018. I Simpson – via Lisa, all’epoca – si rammaricano del polverone buonista. Ma alla fine Apu sparisce dalle scene. E pure la gag dello strangolamento di fatto non viene più riproposta dal 2019. Sbandierarlo però farebbe crollare un mito. Così, per sopravvivere nei nuovi palinsesti, serve un gattopardismo rovesciato: niente deve cambiare perché tutto sia diverso da prima. E pazienza se nessuno ride più. Di Francesco Gottardi

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