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Arte povera di Celant

Il documentario sull’arte povera di Celant

In onda oggi su Sky Arte il documentario Sky Original “Arte Povera – Appunti per la storia”. Germano Celant e il manifesto bellicoso “Arte Povera. Appunti per una guerriglia”
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Il documentario sull’arte povera di Celant

In onda oggi su Sky Arte il documentario Sky Original “Arte Povera – Appunti per la storia”. Germano Celant e il manifesto bellicoso “Arte Povera. Appunti per una guerriglia”
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Il documentario sull’arte povera di Celant

In onda oggi su Sky Arte il documentario Sky Original “Arte Povera – Appunti per la storia”. Germano Celant e il manifesto bellicoso “Arte Povera. Appunti per una guerriglia”
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In onda oggi su Sky Arte il documentario Sky Original “Arte Povera – Appunti per la storia”. Germano Celant e il manifesto bellicoso “Arte Povera. Appunti per una guerriglia”
Il 23 novembre 1967 è una data entrata nella storia dell’arte. È giovedì. Germano Celant pubblica sulla rivistaFlash Artil manifesto bellicosoArte Povera. Appunti per una guerriglia”, critico nei confronti del dilagante processo consumistico che ha reso l’artista un mero produttore di oggetti. Così il giovane e ambizioso critico genovese chiama a raccolta pittori e scultori che vogliono invece prediligere il processo al prodotto, utilizzare materiali prima esclusi dal processo artistico, puntare all’essenzialità. Un movimento – quello dell’arte povera – che guarda filosoficamente al teatro povero del polacco Jerzy Grotowski, ma che Celant sviluppa insieme agli artisti con i quali dialoga, sperimenta e organizza le mostre, influenzando in maniera profonda lo sviluppo dell’arte contemporanea in Italia e all’estero. In onda oggi su Sky Arte alle 21:15 (in streaming soltanto su Now e disponibile anche on demand), il documentario Sky OriginalArte PoveraAppunti per la storia” ci consente di ripercorrere quel movimento libero che ancora oggi rappresenta un punto di riferimento per i tanti giovani. Un’arte semplice, non ricca, che predilige il processo al prodotto e recupera materiali prima esclusi. Da Boetti a Merz, passando per Pistoletto (La “Venere degli stracci” rappresenta forse lo zenit), Prini e Zorio: un insieme di virtuosi che hanno condiviso una nuova metodologia di lavoro per uscire dalla dimensione del quadro e abbracciare lo spazio. Il movimento dell’arte povera non è stato definito in maniera rigida, a testimonianza dei grandi spazi di libertà condivisi da Celant & Co. Anzi, la mancanza di omogeneità è stata un valore fondamentale perché abbracciando le differenze si è potuto arricchire il vocabolario artistico e sperimentare. Fin dalle prime mostre, in gallerie vissute come spazi scenici, gli artisti hanno realizzato opere disarmanti con materiali a dir poco anomali: dal cemento armato alla pelle, passando per il cuoio e la pergamena. Stesso discorso per la tavolozza dei colori ampliata in maniera estrema, basti pensare alla valorizzazione delle tinte muschio e tabacco. L’arte povera non è stata ideata contro qualcuno o contro qualcosa, ma ha semplicemente incarnato il desiderio di decine di artisti di fare qualcosa di nuovo e mai esistito, con grande rispetto nei confronti della tradizione. Il ripensamento delle convenzioni attraverso la ricerca dell’essenza, in nome dell’autenticità. Una delle più grandi novità introdotte è sicuramente l’installation art, nata con l’obiettivo di trasformare le gallerie e il ruolo dello spettatore, qui protagonista su un palcoscenico teatrale senza confini. Si pensi alla rivoluzionaria installazione di Jannis Kounellis alla galleria L’attico di Roma del 1969: dodici cavalli ospitati negli spazi espositivi come fossero in una stalla. Il resto è storia: il successo in Italia e all’estero, la legittimazione internazionale del movimento e la sua fine nel 1972 per lasciare spazio alle identità individuali di ogni singolo artista.   di Massimo Balsamo

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