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Accordo governo e Mittal

Acciarino

Oggi il governo verificherà e varerà l’accordo con la famiglia Mittal. Quel che non è riuscito a essere Acciaierie d’Italia non torna a essere l’Ilva. Pro e contro
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Oggi il governo verificherà e varerà l’accordo con la famiglia Mittal. Quel che non è riuscito a essere Acciaierie d’Italia non torna a essere l’Ilva. Pro e contro
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Oggi il governo verificherà e varerà l’accordo con la famiglia Mittal. Quel che non è riuscito a essere Acciaierie d’Italia non torna a essere l’Ilva. Pro e contro
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Oggi il governo verificherà e varerà l’accordo con la famiglia Mittal. Quel che non è riuscito a essere Acciaierie d’Italia non torna a essere l’Ilva. Pro e contro
Oggi il governo verificherà e varerà l’accordo con la famiglia Mittal, cui era stata venduta l’acciaieria di Taranto, sicché loro perderanno il 62% attuale e lo Stato, per il tramite di Invitalia, passerà dal 32 al 60%. Quel che non è riuscito a essere Acciaierie d’Italia non torna a essere l’Ilva (che era privata), ma fa un duplice salto indietro e ricomincia dall’Italsider, ovvero le acciaierie di Stato, prima della privatizzazione. In via teorica non dovrebbe durare a lungo, perché l’accordo prevede che i Mittal debbano essere disponibili non solo a diluire la loro quota, ma anche a che entri nel capitale un nuovo operatore privato, mentre lo Stato si impegna a uscire dal capitale entro un anno, dopo avere trovato il nuovo socio che assicuri un futuro allo stabilimento. La via teorica è confortata dal fatto che altrimenti sarebbero violate le regole europee del mercato, che non sono un cilicio penitenziale, ma concepite per evitare che aziende possano far concorrenza grazie a capitali pubblici, ovvero pesando sui contribuenti per non pesare sui clienti. Regole che difendono i cittadini e rendono più competitive le aziende, perché quelle che hanno bisogno d’essere sovvenzionate competono solo nella dilapidazione.
Eppure resta il timore che sia una via troppo teorica, perché sento in anticipo le voci – quando si approssimerà la scadenza – che dubitano il nuovo socio sia affidabile, che reclamano garanzie per l’occupazione, che rammentano l’onere del guasto ambientale e annunciano che avere altro tempo converrebbe allo Stato, capace di non si sa quale miracolo. A oggi non c’è scelta, speriamo che il teorico diventi reale. Qui si tratta di un salvataggio, sicché la mano pubblica agguanta le briglie e si mette alla guida, contando di raddrizzare le cose e far tornare appetibile il polo produttivo. Un po’ come l’acciarino, che di suo non accende il fuoco, ma strofinato alla focaia sprigiona le scintille. Se tutto va bene. Il rischio è sempre quello di perdere soldi del contribuente, pertanto è bene sia chiaro che l’obiettivo deve essere quello della produttività e della stabilità, perché se si comincia a dire che la priorità consiste nel salvaguardare l’occupazione (anche a costo di pagare lavoratori che non lavorano) per poi ricominciare con la corrida giudiziaria sui danni ambientali, allora la perdita dei soldi cessa di essere un rischio e diventa una certezza.
Nel mentre qui lo Stato torna proprietario, in altri settori cerca di vendere. Operazione che va sotto la voce ‘privatizzazioni’, ma è un equivoco, per due ragioni: a. se la società è quotata, se non è un ente pubblico, è già una società di diritto privato il cui capitale è posseduto dal pubblico e, quindi, si tratta di venderlo; b. a maggior ragione si tratta di una vendita e non di una privatizzazione se, come ha ribadito anche la presidente del Consiglio, si intende vendere solo una minoranza del capitale, restando pubblici il controllo e la nomina dei vertici (che non si sa in base a quale magia si possa sperare siano migliori di quelli che rendono ricco il mercato).
Il professor Francesco Giavazzi dubita che invitare capitali privati a scommettere su gestioni statali, nella prospettiva di non contare niente, «sia un’offerta attraente». Ha ragione, salvo una possibilità: che quel capitale privato scommetta sulla guida pubblica perché è la sola che possa assicurare protezione all’azienda. In questo caso quei capitali saranno remunerati per la fiducia accordata ai governi. E saranno i contribuenti e i clienti a pagare la differenza fra quel che è competitivo e quel che viene mantenuto artificialmente in vita. A quel punto la ‘strategicità’, se non chiarita e definita in partenza (magari con un sano dibattito parlamentare), se fissata di volta in volta, finirà con l’accomunare gioielli che attengono alla sicurezza nazionale con carrozzoni assistenziali, guidati da famigli e capaci di assicurare impoverimento nazionale. Una storia già vista che è meglio studiare, piuttosto che rivivere.
Di Davide Giacalone

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