Quando giovedì a Buxelles il ministro degli Esteri ugandese Odongo Jeje ha evitato di dare la mano alla presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen, il fantasma del leader turco Erdogan e del ‘sofagate’ ha occupato l’intera sala dell’incontro fra Unione africana e Unione europea.
Uno sgarbo sottolineato dai ripetuti inviti del presidente francese Macron al politico ugandese perché salutasse per bene la presidente della Commissione. Nulla da fare, Jeje ha concesso solo un brevissimo scambio di cenni col capo.
C’è però un quarto protagonista di questa scenetta imbarazzante: il presidente del Consiglio Ue Charles Michel. Ancora lui. Lo stesso che ad Ankara, il giorno dell’‘incidente’ con Erdogan, non riuscì a far nulla.
Non per galanteria o buone maniere, sia chiaro, ma per difendere il nome dell’Unione e i principi europei. Mica lenticchie. Anche giovedì, Michel è rimasto impalato, senza reagire allo sgarbo politico-personale che avveniva davanti ai suoi occhi.
Ok, sarà anche sfortunato, ma al secondo giro sorge spontaneo il dubbio che il presidente del Consiglio Ue non riesca a gestire queste situazioni e non va per niente bene.
Offendere la Von Der Leyen significa offendere l’Unione e princìpi non negoziabili. È anche la plastica dimostrazione che le istituzioni dell’Ue devono ancora crescere (dubitiamo che mister Jeje non avrebbe stretto la mano a Kamala Harris o ad Angela Merkel). Quanto alla sfortuna, Enzo Ferrari amava ripetere di non cercare solo piloti bravi, ma soprattutto fortunati.
di Marco Sallustro
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