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Hamas tregua

Israele-Hamas: tregua armata. La resa dei conti prosegue in Cisgiordania

I militanti di Hamas, i colleghi di quelli (se non gli stessi) che il 7 ottobre 2023 hanno compiuto uno dei più feroci eccidi della storia recente, si sono subito radunati per festeggiare la tregua

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Israele-Hamas: tregua armata. La resa dei conti prosegue in Cisgiordania

I militanti di Hamas, i colleghi di quelli (se non gli stessi) che il 7 ottobre 2023 hanno compiuto uno dei più feroci eccidi della storia recente, si sono subito radunati per festeggiare la tregua

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Israele-Hamas: tregua armata. La resa dei conti prosegue in Cisgiordania

I militanti di Hamas, i colleghi di quelli (se non gli stessi) che il 7 ottobre 2023 hanno compiuto uno dei più feroci eccidi della storia recente, si sono subito radunati per festeggiare la tregua

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I militanti di Hamas, i colleghi di quelli (se non gli stessi) che il 7 ottobre 2023 hanno compiuto uno dei più feroci eccidi della storia recente, si sono subito radunati per festeggiare la tregua

I militanti di Hamas, i colleghi di quelli (se non gli stessi) che il 7 ottobre 2023 hanno compiuto uno dei più feroci eccidi della storia recente, si sono subito radunati per festeggiare l’accordo con Gerusalemme. Come se la retorica passata dei bombardamenti israeliani ingiustificati non fosse mai esistita, sono balzati fuori dalle tende dei civili con fucili e fasce verdi. Hanno sparato in aria in mezzo alla folla, intonando canti di vittoria. La devastazione che li circonda conta meno della consapevolezza di esistere ancora, di aver costretto il nemico a fermarsi. Sembrano quasi i talebani giunti a Kabul quando ancora i soldati statunitensi erano impegnati nell’evacuazione: trionfatori per abbandono dello sfidante.

Niente di strano quindi per le reazioni di giubilo fra le vie di una Striscia ridotta in macerie, ma ancora capace dopo 467 giorni di esprimere una resistenza armata. Il Movimento per la liberazione della Palestina è davvero, intimamente convinto di aver vinto. E convincerlo del contrario risulterebbe molto difficile. D’altronde si tratta di un accordo con cui Israele accetta di fermare la guerra soltanto allo scopo di ottenere indietro i suoi cittadini tenuti come ostaggi e non di una tregua raggiunta perché la situazione di crisi è radicalmente cambiata tanto da rendere superfluo l’uso delle armi. Un distinguo importante, per non illudersi che sia scoppiata la pace. Né che questo cessate il fuoco rechi in sé il germe di una nuova stabilità per il progetto dei “due popoli, due Stati”.

Considerando i morti e il disastro, non si può dire che Hamas abbia ricevuto un premio per il suo comportamento stragista ma è anche vero che non è stato distrutto. Anzi, non è stata richiesta nemmeno una smilitarizzazione del gruppo terroristico mentre nell’accordo si avanzano invece già piani sulla ricostruzione su cui la dittatura militare che governa Gaza potrà attingere, se lasciata libera di agire. Queste sono le ombre che contaminano persino la gioia e la speranza dei familiari dei rapiti, anche perché lasciano tutti gli israeliani con la prospettiva di tornare a vivere col tagliagole a due passi. Una sensazione confermata dal discorso celebrativo di Khalil al-Hayya, maggiorente dell’ufficio politico di Hamas che ha rivendicato il massacro del 7 ottobre come un atto coraggioso di ribellione da portare a esempio per le generazioni future dedite alla causa della lotta palestinese.

Pare che siano state soprattutto le pressioni del presidente eletto Donald Trump a convincere il governo di Benjamin Netanyahu a cedere a questo ricatto, accettando le richieste massimaliste di Hamas. In caso contrario sarebbe difficile capire perché l’accordo proposto dall’amministrazione di Joe Biden sia diventato improvvisamente appetibile dopo mesi di rifiuti. In cambio dei sopravvissuti – e dei corpi dei morti – Gerusalemme dovrebbe persino lasciare il corridoio “Filadelfia” con cui aveva messo fine al contrabbando di armi fra la Striscia e l’Egitto, aprendo la strada al riarmo incontrollato del nemico.

Si tratta insomma di un accordo assai disfunzionale, che dovrà sopravvivere sia alle pressioni immense a cui è sottoposto Netanyahu dalle frange più rigide del suo governo (soprattutto la destra religiosa) sia alla storica magmaticità di Hamas. Per capire come la situazione sia molto distante da qualsiasi normalità basta poi guardare all’altra Palestina, quella della Cisgiordania. Lì Israele e l’Autorità nazionale palestinese sono impegnati in un conflitto parallelo, schierati assieme contro le infiltrazioni dei radicali di Hamas e della Jihad Islamica. L’ultimo atto di questa guerra a bassa intensità sul fianco orientale è stata l’uccisione martedì scorso di Nour al-Bitawi, un comandante del Battaglione Jenin. Difficilmente la tregua a Gaza metterà fine a quest’altro confronto sanguinoso, confermando lo stato di costante resa dei conti in Terrasanta.

di Camillo Bosco

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