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Costumi, fede e libertà

L’Italia è uno Stato liberale e in cui vige la distinzione fra politica e religione. Purtroppo, però, la distinzione non sempre è chiara

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Costumi, fede e libertà

L’Italia è uno Stato liberale e in cui vige la distinzione fra politica e religione. Purtroppo, però, la distinzione non sempre è chiara

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L’Italia è uno Stato liberale e in cui vige la distinzione fra politica e religione. Purtroppo, però, la distinzione non sempre è chiara

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L’Italia è uno Stato liberale e in cui vige la distinzione fra politica e religione. Purtroppo, però, la distinzione non sempre è chiara

Nelle scuole italiane le lezioni si frequentano a volto scoperto. L’Italia è uno Stato liberale e vige la distinzione fra politica e religione. Purtroppo, però, la distinzione non sempre è chiara. Nemmeno agli italiani che tendono a confondere politica, religione e costumi. C’è poi un motivo di sicurezza: è bene che le persone che frequentano una scuola – professori, studenti, bidelli, ospiti – siano identificate, ma il motivo di fondo che consiglia la non copertura del volto o a fini religiosi o per costume è la distinzione fra politica e religione e il prevalere della “religione della libertà” come condizione necessaria per la convivenza civile di diverse fedi, morali e modi di vivere.

Su questi presupposti culturali il caso della scuola di Monfalcone – dove quattro studentesse frequentano le lezioni con il velo del niqab, che non è un simbolo religioso ma un costume – non dovrebbe nemmeno esistere perché in questa fattispecie l’identità religiosa cede il passo alla libertà civile e il costume alla pratica scolastica che un qualunque velo impedirebbe. Invece, se le studentesse non possono velarsi non frequentano e siccome una sbagliata sentenza del Consiglio di Stato ritiene la motivazione religiosa valida per non applicare la legge del 1975 sull’ordine pubblico, allora le studentesse si fanno identificare all’ingresso ma in classe indossano il velo lasciando scoperti solo gli occhi.

Togliamoci il velo dagli occhi – è proprio il caso di dirlo – per capire che ci si trova dinanzi a un cortocircuito dove la libertà di fede è usata per negare la libertà civile che garantisce la convivenza fra le fedi diverse e non integraliste. È questo il motivo preciso che faceva dire con forza a Giovanni Sartori che la integrazione fra democrazie liberali e abitudini islamiche non è difficile ma impossibile, perché la cultura islamica integra e non divide politica e religione e – di fatto e di diritto – non conosce la laicità. Così i governi e le democrazie, nel tentativo e nella speranza di ottenere una qualche forma di integrazione, ricorrono al riconoscimento e alla tutela delle minoranze ma, con questo escamotage, inevitabilmente si creano da un lato comunità religiose islamiche non integrate e dall’altro lato si snatura il diritto civile fino a renderlo inefficace e a usarlo per scopi contrari alla sua stessa funzione.

Nei rapporti fra democrazie e Islam vi è in gioco la nostra stessa cultura, i cui risultati più importanti sono il pluralismo e la persona.

Nel primo caso si tende a confondere il pluralismo con il multiculturalismo. Si tratta di un grave errore concettuale o, peggio, di un sofisma. Il multiculturalismo è semplicemente un fatto, ossia l’esistenza di più culture e più genti. Il pluralismo è invece una teoria che, tenendo ferma la libertà della coscienza morale, consente la convivenza delle diverse culture e genti che altrimenti farebbero del conflitto morale un conflitto armato. Detto in altre parole: se si vuole una convivenza civile deve prevalere la cultura della libertà che garantisce la pluralità, mentre se si lascia prevalere o una cultura integralista o l’idea che tutte le culture siano uguali sul piano civile si va dritti dritti verso il disastro.

Nel secondo caso – la persona – è fin troppo evidente che in gioco c’è la libertà della donna, che può senz’altro indossare il velo ma che prima dev’essere libera di non indossarlo. Si parla spesso e volentieri a sproposito di patriarcato, ma si tace proprio quando se ne deve parlare per dovere e per difendere la libertà delle donne.

Come si vede, nel caso della scuola di Monfalcone e delle quattro studentesse velate c’è in gioco molto di più di una mera questione di sicurezza e ordine pubblico: c’è la nostra cultura della libertà e il valore che siamo disposti a riconoscerle. Purtroppo, il più delle volte siamo noi a non conoscere il valore della nostra cultura.

Di Giancristiano Desiderio

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