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“La febbre dell’oro” di Chaplin compie 100 anni

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Nel 1925 Chaplin firmò un classico del muto, forse la sua opera migliore: “La febbre dell’oro”. Il film nacque quasi per caso

La febbre dell’oro

“La febbre dell’oro” di Chaplin compie 100 anni

Nel 1925 Chaplin firmò un classico del muto, forse la sua opera migliore: “La febbre dell’oro”. Il film nacque quasi per caso

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“La febbre dell’oro” di Chaplin compie 100 anni

Nel 1925 Chaplin firmò un classico del muto, forse la sua opera migliore: “La febbre dell’oro”. Il film nacque quasi per caso

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Il vagabondo di Charlie Chaplin è probabilmente il personaggio più riconoscibile della storia del cinema. Nato nel 1914 grazie al cortometraggio “Kid Auto Races at Venice”, quello che in Italia è diventato famoso come Charlot (in realtà non aveva nome, in inglese era chiamato semplicemente The Tramp) è un uomo maldestro ma di buon cuore, un outsider gentile ma anche abbastanza furbo da ottenere il necessario per sopravvivere. Un’icona amatissima, tanto da condizionare – anche negativamente – il suo creatore.

Chaplin nel 1923 realizzò “La donna di Parigi”, una satira amaramente ironica dell’alta società, in cui faceva solo una fugace apparizione. Un’opera sublime e indiscutibilmente audace, tale da diventare rapidamente un punto di riferimento per gli altri autori di commedie sofisticate. Eppure fu un insuccesso dal punto di vista commerciale. Il motivo? Lo spettatore identificava Chaplin con il personaggio del vagabondo e non era interessato ad altro.

Un flop doloroso per il genio londinese, che decise di tornare al genere cui doveva la sua universale celebrità, ossia la slapstick comedy. E nel 1925 firmò un classico del muto, forse la sua opera migliore: “La febbre dell’oro”. Il film nacque quasi per caso: mentre era ospite degli amici produttori Douglas Fairbanks e Mary Pickford, Chaplin vide alcune diapositive che ritraevano le vicissitudini dei cercatori d’oro del Klondike, tra il Canada occidentale e l’Alaska. In particolare rimase folgorato guardando un gruppo di cercatori che tentava di scalare la montagna del Chilkoot Pass. Venne inoltre conquistato da un libro dedicato alle disgrazie vissute da un gruppo di emigranti diretti in California che nel 1845 rimase bloccato tra i ghiacci della Sierra Nevada e che per sopravvivere arrivò a cibarsi dei finimenti di cuoio del vestiario. Per il comico fu quasi naturale rielaborare quei drammatici eventi in chiave comica e bizzarra: il risultato fu semplicemente eccezionale.

Ne “La febbre dell’oro” il vagabondo finisce nell’universo dei cercatori e incarna il misto di tragedia e comicità che pervade tutta la pellicola. Avventure mirabolanti e imprevisti di ogni sorta, ma anche riflessioni sulla natura, sulla solitudine e sull’avidità umana. Alcune sequenze sono passate alla storia: basti pensare alla scena in cui Charlot si trasforma in un pollo nelle allucinazioni da appetito del compagno Giacomone o ancora alla gag in cui l’affamato protagonista addenta una scarpa arrotolandone i lacci come se fossero spaghetti. Ma c’è di più. In questo film si possono rintracciare i primi accenni all’interesse crescente di Chaplin per i temi politici e sociali degli anni successivi. Tra gli argomenti c’è anche il sogno americano: il messaggio di Chaplin è chiaro, il protagonista non avrebbe bisogno solo di un pasto caldo, ma anche di stabilità economica e di una casa (che non sia precariamente arroccata sul bordo di una scogliera).

Nonostante qualche critica per il finale considerato eccessivamente ottimistico, il film fu un successo mondiale. Secondo le cronache dell’epoca, alla prima al cinema Capitol di Berlino il proiezionista decise di riavvolgere la pellicola e mostrare due volte la celebre scena della danza dei panini. Ancora oggi “La febbre dell’oro” si presenta come un’opera moderna. Sarebbe bello ritrovarla su qualche piattaforma streaming: sicuramente ne alzerebbe la qualità media.

di Massimo Balsamo

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