Giocarsi tutto in una volta
Storie di Olimpiadi.
Giocarsi tutto in una volta
Storie di Olimpiadi.
Giocarsi tutto in una volta
Storie di Olimpiadi.
Storie di Olimpiadi.
Le Olimpiadi sono, fra le mille altre cose, un concentrato di emozioni senza eguali. Due settimane appena, in cui si sommano trionfi e disfatte in grado di segnare la vita sportiva e non solo di donne e uomini. Capaci di giocarsi tutto, a volte, in una manciata di secondi e quando diciamo tutto intendiamo una vita intera di sacrifici. Senza un domani. È sostanzialmente questa l’eccezionalità dei Giochi olimpici. C’è anche un rovescio della medaglia, è proprio il caso di dire, ma ci arriveremo dopo.
Così, in questi primi giorni di Tokyo 2020, ci siamo regalati gli occhi persi nella gioia di Vito Dell’Aquila. Tutta la pura felicità di un ventenne, ultima miniera d’oro della capitale italiana del taekwondo. Siamo a Mesagne, provincia di Brindisi, portata sul tetto del mondo da una palestra e da un uomo, il maestro Roberto Baglivo. Il nostro sport si basa su appassionati umili e oscuri come lui.
Allenatori e maestri capaci di intravedere in un ragazzino o in un bimbetto la fiamma inestinguibile della passione e della classe, che qualche volta può valere un’Olimpiade. Sono donne e uomini a cui dovremmo fare dei monumenti e che spesso non hanno neppure palestre degne di questo nome. Si arrangiano, vanno avanti senza storie e fanno miracoli. I Vito Dell’Aquila che ogni quattro anni ci fanno grandi agli occhi del mondo devono tutto a persone così. Non è d’oro, ma è come se lo fosse, la staffetta 4×100 stile libero maschile, seconda solo agli Stati Uniti e davanti all’Australia. In questo caso non basta ricordare neppure che l’Italia non aveva mai centrato un podio olimpico nella gara delle gare del nuoto. Bisogna aggiungere qualcosa che dia l’idea di ciò che hanno fatto Alessandro Miressi, Thomas Ceccon, Lorenzo Zazzeri e Manuel Frigo.
Il singolo fenomeno può nascere ovunque, baciato da madre natura. Schierarne quattro del massimo livello internazionale significa entrare in una dimensione diversa. È il marchio di una scuola, è l’aver messo a frutto lavoro e successi dei campioni del passato. Non dimentichiamo che per decenni non siamo esistiti in vasca e adesso storciamo la bocca per i quarti posti.
Lo sport, però, è così. Dicevamo del rovescio della medaglia: il fioretto femminile, dopo 32 anni, non è andato sul podio e subito una schiera di commentatori improvvisati ha sottolineato il fatto in sé. Commettendo solo un piccolo ma gravissimo errore: la notizia non è aver mancato il podio olimpico a Tokyo, è non averlo mancato per tre decenni. Se poi si pretende una Valentina Vezzali a ogni generazione bisogna rivolgersi al reparto miracoli.
Le Olimpiadi sono anche l’Università della vita: lo sa bene il judoka Fabio Basile. Prima dei Giochi, da campione di Rio 2016, aveva dichiarato di non considerare nulla di meno della medaglia d’oro. È stato eliminato al primo turno. Sarebbe facile bollare la sua come una spacconata che ha portato pure male, la verità è che una giornata storta può capitare a tutti e che anche Maradona ha sbagliato i calci di rigore. L’importante, il giorno dopo, è rialzarsi. Come impone il mito di Olimpia e pensando che, questa volta, ai prossimi Giochi di anni ne mancano solo tre.
di Diego De La Vega
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