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Green Deal, la sfida dell’Europa a Usa e Cina

Nel 2017, quando gli indicatori economici rilevavano l’inizio della “crescita debole” (così è stato definito il periodo pre Covid-19), a Bruxelles convenivano in modo quasi unanime che questa non fosse altro che l’esito della mancata innovazione della nostra industria.

Nello stesso periodo, il McKinsey Global Institute evidenziava come l’85% degli investimenti in intelligenza artificiale – fondamentale per la trasformazione di industria 4.0 – fossero stati realizzati da imprese americane e cinesi. Non è un caso che, fino all’avvento della pandemia (primo trimestre 2020), Usa e Cina hanno continuato a crescere: da sempre, innovazione significa competitività.

È proprio nel momento in cui l’Unione comprende il suo ritardo industriale che ha origine il programma Green Deal: l’Europa vuole tornare a essere l’economia più forte e per riuscirci costruisce la sua ripartenza su tre grandi obiettivi: 1) risposta alla riconfigurazione della globalizzazione; 2) innovazione digitale ed energetica; 3) lotta al climate change.

Il nome dell’ambizioso programma, che viene consegnato da Ursula von der Leyen al Parlamento europeo a dicembre 2019, è naturalmente ispirato dall’emergenza climatica. Anche Mario Draghi, quando ha presentato il suo governo alle Camere, ha detto: «Questo sarà un esecutivo ambientalista». Dobbiamo concluderne che l’Unione europea si sia piegata all’attivismo di Greta Thunberg?

In realtà, l’Europa sta lanciando una nuova sfida a Usa e Cina puntando sull’innovazione delle sue filiere – innovazione digitale ed energia rinnovabile sono ciò che renderà più sostenibile la produzione – e, in particolare, sul suo mercato. Già, perché il mercato europeo non è così coeso come quelli americano e cinese.

E dal 2017, rallentando il commercio mondiale, l’economia si è riorganizzata su scala macroregionale.

In sintesi, i mercati si sono riconfigurati attorno alle grandi piattaforme produttive (Usa, Cina ed Europa) mentre la grande piattaforma europea – Germania, Italia e Francia – ha attorno a sé quello che è ancora il più importante mercato al mondo: quello europeo, appunto.

L’Unione è arrivata con un po’ di ritardo a fare quadrato sulla sua economia ma ciò che conta oggi è che lo abbia fatto. Nessuno, soltanto due anni fa, avrebbe lontanamente immaginato un piano di politica espansiva da mille miliardi come il Next Generation Eu. In questo senso, la pandemia si è rivelata un grande acceleratore. E in questo nuovo scenario l’Italia ha molto da guadagnare: dopo la Germania, resta pur sempre la seconda potenza industriale d’Europa.

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Di Giuseppe Sabella

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