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Jacobs e la corsa alla politica

La corsa della politica a Jacobs

Ius soli, sport e simboli

«Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi» annotava lo scrittore Bertolt Brecht.

Una frase di sicuro effetto ma con un grosso limite: trovatene uno di popolo che non ha avuto bisogno di eroi almeno una volta! Un momento di debolezza, nella vita, capita a tutti. Eroi non soltanto di guerra o di sfide al potere ma anche sportivi.

In Italia in questi giorni è stato tutto un gran dibattere su Marcell Jacobs, simbolo del rinascimento e dei successi olimpici italiani, a proposito dello ius soli: sportivo, non sportivo, per tutti e chissà lui come la pensa.
Subito serviti: il campione azzurro l’ha detto chiaro come la pensa: «Lo ius soli? Non mi interessa la politica, non voglio essere usato. Io faccio l’atleta».
E quindi?

Secondo noi la questione è semplice: anche Jacobs ha un futuro da vivere, anzi per lui è appena cominciato e anziché farsi tirare per la giacca preferisce non pregiudicarsi pezzi di pubblico buttandola in politica. Vuole fare ciò in cui è un fenomeno: correre.
E vincere ancora, il più possibile. Scelta laica.

Anche se una cosa a Jacobs andrebbe spiegata: quando si compie un gesto che nessuno nella storia dello sport italiano aveva mai compiuto prima – vincere i 100 metri alle Olimpiadi e pure la staffetta 4X100 – un simbolo lo si è a prescindere.

Non politico, nel senso di parte. Quello no. Ma politico nel senso che si rappresenta qualcosa: la vittoria.
E tutti, prima o poi, proveranno a tirar dalla loro parte un vincente. Almeno finché continuerà a mietere successi.

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