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I giorni del “Taco” Trump

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Siamo alla fantapolitica o quasi ma cosa c’è di più fantapolitico di Donald Trump? Dal giorno della piccata risposta a Megan Casella della Cnbc che gli aveva chiesto del nomignolo “Taco“, The Donald sembra aver accelerato su tutti i punti più controversi

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I giorni del “Taco” Trump

Siamo alla fantapolitica o quasi ma cosa c’è di più fantapolitico di Donald Trump? Dal giorno della piccata risposta a Megan Casella della Cnbc che gli aveva chiesto del nomignolo “Taco“, The Donald sembra aver accelerato su tutti i punti più controversi

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I giorni del “Taco” Trump

Siamo alla fantapolitica o quasi ma cosa c’è di più fantapolitico di Donald Trump? Dal giorno della piccata risposta a Megan Casella della Cnbc che gli aveva chiesto del nomignolo “Taco“, The Donald sembra aver accelerato su tutti i punti più controversi

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Siamo alla fantapolitica o quasi ma cosa c’è di più fantapolitico di Donald Trump? Dal giorno della piccata risposta a Megan Casella della Cnbc che gli aveva chiesto del nomignolo “Taco“ (“Trump Always Chickens Out”, “Trump si tira sempre indietro per la paura”) creato dal collega Robert Armstrong del Financial Times, Donald Trump sembra aver accelerato su tutti i punti più controversi. Marciando come un treno contro ogni impostazione storica, alleato e interesse degli Stati Uniti d’America.

Sarà certamente un caso ma è troppo facile mettere in fila le decisioni prese dal capo della Casa Bianca dal “giorno del Taco” a oggi. Il Presidente è tornato ad accelerare sui dazi, senza guardare in faccia a nessuno. Sulla legge di bilancio è andato a un clamoroso scontro con l’ormai ex first buddy Elon Musk. Il N.1 di Tesla ha dato dell’”abominevole” alla legge di bilancio fatta votare dal Congresso. Dando un giudizio prima implicito altrettanto sprezzante dell’uomo che ha fortemente contribuito a far approdare alla Casa Bianca. Per poi passare ieri sera a un attacco diretto e infamante. “È negli Epstein files”, i documenti sul miliardario pedofilo dalle amicizie ultra-vip morto in carcere.

Dal “giorno del Taco”, Donald Trump ha fatto l’ennesima giravolta sulla guerra russa in Ucraina. Passando dal “Putin è impazzito” a una telefonata-fiume con il leader del Cremlino. Che si è conclusa con un comunicato che avrebbe potuto scrivere il portavoce russo Peskov.

Senza fare psicologia spicciola ma dal “giorno del Taco” è come se Trump si fosse messo davanti allo specchio a gonfiare i muscoli. In uno show a uso e consumo della sua base. Culminato nel surreale retweet di una boiata pazzesca come quella del robot umanoide che avrebbe sostituito Joe Biden. O la sospensione del tutto arbitraria dei visti da 12 Paesi, con l’aggiunta di altri 7 spediti in una lista rossa.

C’è un uomo che converrebbe ascoltare con grande attenzione, per provare a comprendere la contorta e al contempo palese psicologia trumpiana: il suo ex vice Mike Pence.

Giudizi di una severità impressionante, espressi in pubblico sempre dopo aver premesso la profonda anima conservatrice e idee che restano distanti dall’America liberal. Parliamo dell’uomo cui si deve un bel pezzo della capacità delle istituzioni americane di resistere al terremoto del 6 gennaio 2021 e all’assalto a Capitol Hill: fu Pence a dire di “no” alle folli richieste di Trump che configuravano un embrione di colpo di Stato nel rifiuto di riconoscimento della legittimità della vittoria di Biden e di una transizione civile e pacifica fra lui e il successore democratico.

Fu Pence ad alzare il vessillo della Costituzione, opponendolo alla violenza dei sostenitori Maga. Quando oggi parla con sbigottimento della deriva politica sull’Ucraina e sui principi fondanti della democrazia Usa, l’ex vicepresidente lo fa sulla scorta di un’esperienza personale unica. Il suo sincero allarme è l’allarme di tutti noi.

di Fulvio Giuliani

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