Perché noi siamo Israele
Perché noi siamo Israele. Stare dalla parte di Israele significa stare dalla parte dell’Occidente, sempre che si voglia continuare a vivere in questo Occidente
| Esteri
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Perché noi siamo Israele. Stare dalla parte di Israele significa stare dalla parte dell’Occidente, sempre che si voglia continuare a vivere in questo Occidente
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Perché noi siamo Israele. Stare dalla parte di Israele significa stare dalla parte dell’Occidente, sempre che si voglia continuare a vivere in questo Occidente
In Rete circola una fotografia da molti like che ritrae tre ragazzini riconoscibili per la loro religione: cristiana, ebraica, musulmana. Vuole trasmettere fratellanza a prescindere dalla fede in un momento in cui al grido di «Allah Akbar!» si decapitano bambini. Quanti migliori like raccoglierebbe invece se i loro abbigliamenti non veicolassero alcuna appartenenza? E dire che il Novecento – con tutte le sue bellezze e disgrazie – aveva lasciato intendere che la filosofia (cioè la politica) avesse smesso di fare l’aspirante chierica della teologia, come per tutto il Medioevo, quando – per dirla con Michel Onfray in “Trattato di ateologia” – «da luogo dell’inquietudine, era precipitata nel dirupo delle certezze».
Le teocrazie che tuttora imperversano sono lì a dimostrare che la deteologizzazione è di là da venire in quelle regioni del mondo dove la chiamata alla guerra santa esercita un potente richiamo (rivalsa) soprattutto su quei giovani miliziani cresciuti nel segno della sharia, ossia nel «cammino (sulla terra) che conduce alla fonte (Dio)». Se poi a quei miliziani vengono anche promessi 10mila dollari e una casa per ogni ostaggio rapito (come per i familiari dei ‘martiri’ jihadisti), ecco che tutto assume i contorni di una tossicità talmente potente da poter anche prescindere dalle droghe (quali l’obnubilante Captagon) che sarebbero state loro propinate.
La veloce trasformazione dell’aggressione di Hamas a Israele, da “lotta di liberazione” (di un territorio) a “guerra santa” (di stampo jihadista), è dimostrata dall’allargamento del sentimento antisemita: un allargamento su cui ha – ovviamente e conseguentemente – messo il turbante l’Iran che ha minacciato d’attaccare la città di Haifa. Il malcelato obiettivo degli ayatollah (“miracolo di Dio”) è quello di far saltare il percorso di conciliazione fra sauditi e Israele. Non a caso, alle parole di Faysal Al Sa’ud – «Non ci sono eroi ma solo vittime» – fanno da contrappunto quelle di Mohamud Al-Zahar, dirigente e cofondatore di Hamas: «Israele è soltanto il primo obiettivo. L’intero pianeta sarà sotto la nostra legge e non ci saranno più ebrei o traditori cristiani».
In un contesto di disperazione qual è quello in cui vivono molti “ultimi del mondo” quali i palestinesi di Gaza, questo suprematismo jihadista è destinato a fare proseliti, come li avevano fatti Isis prima e Is dopo la scomparsa di al-Qaeda. Come già avvenuto tante, troppe volte, l’esportazione del terrorismo in Occidente è una conseguenza concreta, quasi ‘logica’. Per questa ragione stare dalla parte di Israele significa stare dalla parte dell’Occidente, sempre che si voglia continuare a vivere in questo Occidente così faticosamente assemblato secolo dopo secolo, ritenendolo il migliore dei mondi possibili. Una ulteriore spinta alla difesa di Israele (alias Occidente, appunto) deve derivare dalla presenza, fra i protagonisti della tragedia mediorientale, anche di quel Libano dal cui territorio lancia i suoi missili Hezbollah, cioè il “Partito di Dio”: un oltraggio estetico oltre che etico.
di Pino Casamassima
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