Senza pace
| Esteri
L’attacco di Hamas in territorio israeliano ha introdotto una nuova realtà. Nessun israeliano ritiene adesso che ci siano le condizioni per portare avanti un accordo di pace
Senza pace
L’attacco di Hamas in territorio israeliano ha introdotto una nuova realtà. Nessun israeliano ritiene adesso che ci siano le condizioni per portare avanti un accordo di pace
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L’attacco di Hamas in territorio israeliano ha introdotto una nuova realtà. Nessun israeliano ritiene adesso che ci siano le condizioni per portare avanti un accordo di pace
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Il noto intellettuale marocchino Tahar Ben Jelloun ha scritto sul settimanale francese “Le Point”: «La causa palestinese è morta il 7 ottobre 2023, assassinata da elementi fanatici, impantanati in un’ideologia islamista della peggiore specie». In effetti, l’atroce eccidio portato a termine da Hamas in territorio israeliano (si parla di più di 1.400 morti, di migliaia di feriti e di 250 ostaggi) ha introdotto una nuova realtà. Nessun israeliano ritiene adesso che ci siano le condizioni per portare avanti un accordo di pace. Le immagini dei corpi bruciati, delle ragazze violentate e trucidate e della strage di bambini innocenti hanno riportato alla mente la tragedia dell’Olocausto. La pace ha quindi terminato di essere una carta elettorale. Anche se il prossimo governo fosse composto dal centrosinistra, non proporrà mai un programma che possa presentare rischi (anche minimi) per la popolazione israeliana. Non esiste infatti da tempo un partner con cui dialogare.
Il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas è politicamente un ‘corpo morto’. Dopo aver dichiarato che Hamas «non rappresenta il popolo palestinese», feroci critiche lo hanno assalito, costringendolo a far cancellare la sua condanna al movimento terroristico dai media da lui controllati in Cisgiordania. In queste ore, infatti, sono state organizzate numerose manifestazioni a Ramallah e a Hebron in sostegno ad Hamas. Ciò fa pensare che anche se arrivasse un nuovo Konrad Adenauer a guidare l’Autorità palestinese non verrebbe mai accettato. Ci troviamo quindi in una situazione di stallo, in cui l’idea di due Stati per due popoli è diventata obsoleta. Nell’ideologia di Hamas, che sta impregnando i territori, non c’è infatti posto per Israele, che è visto come uno Stato nemico da annientare.
L’attacco di Hamas ha pertanto cambiato tutto. Ha distrutto la normalizzazione dei rapporti fra Israele e i Paesi arabi e in particolare ha allontanato (di venti, cinquanta o cento anni) la possibilità di realizzare uno Stato palestinese indipendente (che avrebbe un suo proprio esercito), perché rappresenterebbe una minaccia alla stessa esistenza di Israele. Hamas ha inoltre messo la popolazione di Gaza nella terribile condizione di dover vivere in campi profughi per decenni (come i rifugiati in Siria e in Giordania). Il mondo occidentale e Israele stesso aiuteranno i rifugiati palestinesi, che per lungo tempo non potranno tornare nelle loro case, dato che saranno costruite delle zone cuscinetto nella zona Nord. Non ci sarà pertanto un Piano Marshall per la ricostruzione dell’area.
Il 7 ottobre ha infatti rivelato i veri sentimenti della regione nei confronti di Israele, la cui esistenza non è stata mai accettata. Lo sgomento è che Hamas, per portare a termine la strage, è stato aiutato da palestinesi che lavoravano nei kibbutz israeliani (di orientamento di sinistra). Persone che avevano rapporti amichevoli con gli abitanti di queste comunità, note per le loro posizioni pacifiste. Fra gli ostaggi c’è anche la settantenne Vivian Silver, che ha dedicato la sua vita al dialogo israelo-palestinese. Non invidio l’animo amareggiato di coloro che sono rimasti in vita nelle comunità dei kibbutz. Probabilmente non capiranno mai perché i loro cari sono stati assassinati.
Le manifestazioni di sostegno ad Hamas e le giustificazioni all’eccidio di innocenti fanno capire che un altro genocidio è possibile e che la pace non arriverà per almeno un altro secolo.
di Yigal Carmon, presidente del Middle East Media Research Institute ed ex consigliere dell’antiterrorismo per due primi ministri israeliani
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