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Trump critica tutti, ma attacca Zelensky

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Donald Trump vuole la pace in Ucraina a ogni costo, il che sarebbe anche una bella cosa, se non facesse neanche più la fatica di far finta di considerare le ragioni e i diritti ucraini

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Trump critica tutti, ma attacca Zelensky

Donald Trump vuole la pace in Ucraina a ogni costo, il che sarebbe anche una bella cosa, se non facesse neanche più la fatica di far finta di considerare le ragioni e i diritti ucraini

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Trump critica tutti, ma attacca Zelensky

Donald Trump vuole la pace in Ucraina a ogni costo, il che sarebbe anche una bella cosa, se non facesse neanche più la fatica di far finta di considerare le ragioni e i diritti ucraini

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Lo schema è davanti agli occhi di tutti. E non è necessario essere dei fini osservatori o ascoltare equilibrati Think Tank per comprendere cosa stia accadendo.

Donald Trump vuole la pace in Ucraina a ogni costo. Il che sarebbe anche una bella cosa, se non facesse neanche più la fatica di far finta di considerare le ragioni e i diritti ucraini. I dolori illimitati patiti da un intero popolo aggredito da un vicino così tanto più grande e potente.

Il bombardamento domenicale di Sumy – sono parole del Presidente degli Usa sull’Air Force One – è una cosa terribile, “ma mi hanno detto che è stato un errore”.

La disponibilità di Donald Trump a comprendere, sminuire, tendere sempre e comunque una mano a Vladimir Putin è apparsa – anche questa – illimitata. Fino a oggi, perché con lui “del doman non c’è certezza”.

È ciò di cui lo zar aveva disperatamente bisogno per portare avanti una guerra fallimentare e raggiungere un qualche scopo. Se neanche il bombardamento di civili, in un’area priva di qualsiasi interesse militare di carattere infrastrutturale, riesce a spingere la Casa Bianca verso le ragioni ucraine, al Cremlino avranno fatto con estrema attenzione i loro calcoli e avranno rafforzato l’ovvia conclusione che non ci potesse essere opzione migliore di Trump per i propri interessi.

Del resto, è sempre il capo ad avere le parole più comprensive e assumere la postura meno sconveniente nei confronti di Mosca. 12 ore prima dell’assist sull’”errore”, era stato l’inviato Usa Kellogg a parlare di “limite della decenza superato” dalla Russia con l’attacco sulla città di Sumy.

A Putin basta ormai aspettare un po’: ieri pomeriggio, per rincarare, Trump è tornato ad addossare tutte le responsabilità della guerra a Zelensky e Biden. Sumy? Già dimenticata.

È questo a colpire (ormai non più di tanto, a dire il vero): per Donald Trump la colpa di tutto, la responsabilità ultima non è mai di Vladimir Putin e della politica aggressiva della Russia ma della “guerra”. La guerra è brutta, sporca e cattiva – concetto ribadito anche dopo il bombardamento della Domenica delle Palme – ed è sempre una tragedia incommensurabile.

Come dargli torto, chi potrebbe dirsi contrario? Peccato che nella retorica trumpiana la guerra è come se si fosse autogenerata o, nella migliore delle ipotesi, autoimposta ai contendenti. Non c’è un responsabile ultimo, non c’è chi l’ha voluta cominciare, chi ha scelto lucidamente di imbracciare le armi contro un vicino.

Se proprio costretto, per il Presidente degli Stati Uniti la maggiore responsabilità è dell’aggredito che non ha fatto abbastanza per non essere aggredito.

Che combinazione, esattamente i concetti espressi dai pacifisti di casa nostra, in particolare quelli che non hanno mai negato vicinanza o diretta simpatia per Vladimir Putin. Nel contesto generale è una posizione del tutto ininfluente ma utile a ricordarci su quali basi e premesse si stia muovendo l’amministrazione americana.

di Fulvio Giuliani

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