Cosa immaginare per il futuro di Gaza, parla Mauro Gilli
Mauro Gilli, ricercatore di Tecnologia militare e Sicurezza internazionale del Politecnico di Zurigo spiega: “Israele segue la strategia della doppia deterrenza”
«È una guerra psicologica crudele»: così il premier israeliano Netanyahu dopo la diffusione del video con tre donne ostaggio da parte di Hamas. E che si tratti di una guerra ibrida è stato chiaro fin da subito. Una conferma ulteriore è arrivata dopo il black out delle comunicazioni a Gaza. «In tutte le guerre l’informazione gioca un ruolo centrale, sia tramite la propaganda sia nell’ostacolare le comunicazioni. In passato c’erano le cortine fumogene per nascondere i propri movimenti, poi c’è stata la guerra elettronica dell’ex Urss che interferiva con le onde radio di “Free Europe”, ora ci sono i video di Hamas o il blocco delle comunicazioni a Gaza» spiega Mauro Gilli, ricercatore associato di Tecnologia militare e Sicurezza internazionale al Politecnico di Zurigo. In questo caso Elon Musk ha offerto supporto alle Ong con la sua Starlink, per limitare i danni collaterali ai civili. «È il problema di fondo di questa guerra ibrida che vede contrapposti Israele e la sua maggior capacità militare convenzionale ad Hamas che agisce invece in modo terroristico sfruttando la debolezza del nemico, cioè usando ospedali e case per nascondersi o comunicazioni satellitari civili a scopi militari» chiarisce Gilli.
Intanto l’operazione di terra israeliana è iniziata, con due obiettivi apparenti: «Da un lato la cosiddetta deterrence by denial (deterrenza tramite negazione), cioè l’idea di dissuadere il nemico da un attacco futuro riducendo in modo significativo le sue capacità militari offensive; dall’altro la deterrence by punishment (deterrenza tramite punizione), attraverso una risposta così estrema da indurre il nemico a non ritentare in futuro un gesto analogo, come accaduto con Hezbollah nel 2006» spiega ancora l’esperto del Center for Security Studies Eth di Zurigo. In questo scenario appare difficilissimo liberare sul campo gli oltre 200 ostaggi israeliani: «Non credo sia possibile: Hamas ha preparato l’attacco del 7 ottobre ma anche la prevedibile reazione israeliana, tenendo i prigionieri in luoghi molteplici e ben nascosti. È più ragionevole pensare che alla fine Tel Aviv dovrà acconsentire a un dialogo e cedere a uno scambio di prigionieri con i detenuti nelle proprie prigioni» sottolinea il ricercatore.
Dal punto di vista della sicurezza internazionale preoccupa il possibile coinvolgimento di altri Paesi arabi come Libano, Siria e Yemen, da cui sono già partiti razzi contro Israele. «Bisogna vedere se diventerà un vero e proprio allargamento del conflitto. In questo gli Usa giocano un ruolo fondamentale di deterrenza: il dispiegamento di portaerei, caccia e mezzi associati serve sia al supporto diretto sia a scongiurare un’estensione del conflitto su larga scala. Al momento viene da pensare che non ci sarà un’escalation pericolosa, ma non si può escludere nulla» conclude Gilli.
di Eleonora Lorusso
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