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Petra lavica

Kaballà, a 33 anni dall’uscita rivive “Petra lavica”

Ieri sera a Milano Kaballà ha raccontato davanti a una platea di amici e ospiti la nascita di “Petra lavica”, uscito in questi giorni in vinile una nuova veste rimasterizzata

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Kaballà, a 33 anni dall’uscita rivive “Petra lavica”

Ieri sera a Milano Kaballà ha raccontato davanti a una platea di amici e ospiti la nascita di “Petra lavica”, uscito in questi giorni in vinile una nuova veste rimasterizzata

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Kaballà, a 33 anni dall’uscita rivive “Petra lavica”

Ieri sera a Milano Kaballà ha raccontato davanti a una platea di amici e ospiti la nascita di “Petra lavica”, uscito in questi giorni in vinile una nuova veste rimasterizzata

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Ieri sera a Milano Kaballà ha raccontato davanti a una platea di amici e ospiti la nascita di “Petra lavica”, uscito in questi giorni in vinile una nuova veste rimasterizzata

Dopo 33 anni dalla sua pubblicazione, Petra Lavica di Kaballà torna in una nuova versione completamente rimasterizzata, disponibile in formato vinile 33 giri a tiratura limitata. Un disco che lasciò un segno negli anni ’90 italiani, in un’epoca in cui il panorama musicale stava appena iniziando a sperimentare la fusione tra dialetti e nuove sonorità. Kaballà osò andare oltre, dando vita a un’opera che anticipava i tempi, guardando con audacia alla scena musicale europea. Pubblicato nel 1991, l’album è interamente cantato in siciliano, mescolando rock, sonorità mediterranee e influenze del pop internazionale.

Ieri sera, nella suggestiva cornice della Cas’a Cascina Sant’Alberto, Kaballà ha raccontato la nascita di Petra Lavica, accompagnato da Stefano Senardi e Alex Peroni. Un’occasione unica per ripercorrere aneddoti e suggestioni di quei giorni trascorsi tra lo studio di registrazione e la Sicilia.

L’avventura di Petra Lavica iniziò con il primo incontro tra Kaballà e Gianni De Berardinis, disc jockey, chitarrista e talent scout italiano, con cui emerse subito una visione comune della musica:
“Condividevamo una visione comune della musica, quella stessa musica di cui ci eravamo nutriti voracemente fin da ragazzi. Nella nostra quotidianità, ascoltavamo con attenzione ogni novità, sia della scena italiana che internazionale, lasciandoci affascinare e ispirare. Da quel fascino traevamo stimoli per scrivere e sperimentare.”

Tra gli incontri fondamentali ci furono anche quelli con Massimo Bubola, già coautore di due storici album di Fabrizio De André e di brani iconici come Don Raffaè. Bubola, colpito dal progetto, non solo vi si appassionò, ma suggerì anche il nome d’arte Kaballà. A concretizzare l’idea contribuirono lo staff della EMI Publishing, tra cui Antonio Marrapodi e Paolo Corsi, e Stefano Senardi, all’epoca Direttore Generale della CGD/Warner, che ebbe il merito di intuire e sostenere il valore di un progetto così audace.

A produrre artisticamente l’album furono De Berardinis e Bubola, affiancati dal maestro Lucio “Violino” Fabbri (già membro della PFM) in qualità di supervisore generale e arrangiatore. Fabbri riunì e coordinò un gruppo di musicisti straordinari, il cui talento contribuì a conferire al disco un sound unico. Tra questi spiccano nomi come Walter Calloni, Paolo Costa, Fabrizio Consoli, Mauro Pagani e lo stesso Lucio Fabbri, solo per citarne alcuni.

Il mixaggio fu affidato ad Alberto “Skizzo” Bonardi, una giovane promessa, che operava con suoni rigorosamente analogici nel celebre studio Metropolis. Fu lì che incontrai per la prima volta il maestro Fabrizio De André, che nello studio A stava registrando il suo nuovo album Le Nuvole, sei anni dopo il capolavoro Creuza de mä. Per me, non poteva esserci una coincidenza più fortunata né un auspicio migliore!

Anche il videoclip del brano “Petra Lavica” rappresentò una novità assoluta per l’epoca. Si trattava di un intenso cortometraggio girato in 16mm dal visionario regista Daniele Pignatelli e prodotto da Marco Balich, destinato a diventare uno dei più grandi nomi della scena internazionale degli eventi. Il film, ambientato a Portopalo di Capo Passero, nell’estrema punta della Sicilia, venne realizzato in condizioni climatiche straordinarie: un episodio di maltempo con mare e vento forza 7 trasformò quel lembo di Sicilia in un angolo d’Irlanda. La troupe e il regista, anziché scoraggiarsi, sfruttarono queste condizioni per arricchire le atmosfere del video.

Come nel videoclip, anche nel disco si cercò di mescolare le carte: un equilibrio tra immagini, suoni, contaminazioni dialettali e raffinatezza musicale. La rivista Esquire nel luglio del 1991 recensì l’album in maniera entusiastica, posizionandolo tra il primo disco degli Sugarcubes, l’esordio di Björk, e Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme. Un esordio memorabile, insomma, che portò al disco critiche lusinghiere per la sua originalità, il coraggio nella sperimentazione, la qualità della scrittura e il livello eccelso dei musicisti.

di Federico Arduini

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