Dalla mattina del 24 agosto il rock non sarà più lo stesso. No, non è un’esagerazione. Ieri è morto Charlie Watts, leggendario batterista e cofondatore dei Rolling Stones. La notizia è rimbalzata su tutti i media mondiali e, diciamolo, ha trovato un po’ tutti impreparati.
Watts aveva da poco annunciato che non avrebbe potuto partecipare al nuovo tour degli Stones per potersi riprendere al meglio dopo un intervento al cuore. Nonostante avesse ottant’anni tutti pensavano sarebbe a breve riuscito a tornare dietro ai piatti e ai tamburi per accompagnare ancora una volta i suoi compagni in interminabili concerti al suono del più puro rock ‘n’ roll. Ma non sarà così.
Charlie era entrato nel gruppo nel gennaio del 1963 ed è riuscito nel corso dei decenni a convivere con personalità a dir poco travolgenti, prima con Brian Jones poi con il duo Jagger-Richards. Il suo contributo alle sonorità della band è stato fondamentale, spesso sottovalutato elemento d’unione, dallo stile pulito ed inconfondibile: di pochi batteristi si può dire lo stesso.
E dire che è sempre sembrato c’entrare poco con il resto della band: loro così votati al vivere vita e palco in nome del rock e dei suoi comandamenti; lui così riservato e apparentemente distaccato. Sarà che non ha mai nascosto il suo amore per la musica Jazz, tanto da andare anche in tour con una Big Band, o per la disco music e il reggae.
Ma non inganni questa immagine, la personalità non gli è mai mancata. Ne è un esempio l’ormai celebre aneddoto di Keith Richards secondo cui una volta, al sentire Jagger definirlo il “suo” batterista, Watts in silenzio si sia alzato e gli abbia tirato un pugno in pieno volto. Quel che accadrà ora alla band non è chiaro, nonostante molto probabilmente proseguiranno con la loro attività musicale. Ma indubbiamente non sarà più lo stesso.
E non sarà lo stesso neanche per il mondo della musica. Se è vero che abbiamo già perso vere e proprie leggende negli scorsi anni, da David Bowie a Chuck Berry e che verosimilmente sarà sempre peggio, per gli Stones era diverso. A vederli sul palco con la loro energia, la loro luce, così quasi fuori dal tempo, imperturbabili mostri sacri, sembravano immortali. E ora che anche loro al contrario si sono dimostrati come noi di carne ed ossa, ora che anche la loro musica non suonerà più come prima, forse è davvero finita un’era.
Da anni si scrive e si legge che questi “Dinosauri” del rock non lasciano lo spazio ai giovani, ma dopo di loro chi prenderà il testimone? Cosa ne sarà di quel lascito, di quella musica che ha saputo incarnare emozioni, vite e sogni come poche altre per più di settant’anni nessuno lo può sapere.
E per quanto la loro musica rimarrà, il pensiero che poco o niente potrebbe più suonare così mette certamente paura. Non ci resta che sperare che ancora una volta, come sempre fatto, il rock sappia trovare nuovi alfieri evolvendo e cambiando. La strada è stata tracciata da queste leggende e se anche un faro si è spento resta pur sempre la luna, la musica stessa, come guida nella notte della musica rock.
di Federico Arduini
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