Purtroppo in pochi si ricordano di Gino Santercole, con quella voce anarchica come blues comanda e quella vena di follia che caratterizza tutti i pionieri del rock’n’roll.
Nato anche lui in via Gluck, era nipote e allo stesso tempo cognato di Adriano Celentano, avendo sposato la sorella di Claudia Mori. Ebbe un ruolo importante nel mitico Clan, al fianco di artisti come Don Backy, Ricky Gianco e Milena Cantù. Nel 2014 era tornato alla ribalta con un album dal programmatico titolo “Voglio essere me” («Perché tutti i ragazzi vogliono essere Vasco Rossi – ci diceva – ma io voglio essere io»), fondendo blues, atmosfere jazz e ricordi di vita, come nel brano “Il valzer dello zio Amedeo”, tenero sguardo sull’infanzia milanese: «Eravamo una famiglia di emigrati pugliesi e in cortile ascoltavo mio padre suonare una chitarra che si era costruito da solo, mio zio Amedeo al mandolino e mia madre alla voce».
Chitarrista, attore, compositore, autore di brani che hanno fatto la storia della musica italiana. Ex componente de I Ribelli, poi membro del Clan Celentano, ha scritto “Una carezza in un pugno”, “Svalutation”, “Un bimbo sul leone”, “Straordinariamente”, parte della colonna sonora di “Er più – Storia d’amore e di coltello” (compresa “Solo per amore nun se vive”) nonché i temi di “Segni particolari bellissimo”. Cantò “Such a cold night to-night” e “Yuppi du” nell’omonimo film.
La prima moglie fu Anna Moroni, sorella di Claudia Mori, ma l’amore della vita lo incontrò sul set a Roma nel 1973, dopo un divorzio, una depressione e la rottura con il Clan. Gli ostacoli sembravano insormontabili e nel 1981 scrisse “Adriano ti incendierò” con un testo di Don Backy, cantata proprio con Celentano a “Fantastico 8”. Gino confidò in diretta: «Ti volevo scrivere una lettera e non ho trovato la carta, così ho fatto una canzone. Poi credo di non essere stato abbastanza apprezzato come autore. Tu il re, noi i sudditi».
Il cinema è stata un’altra passione di Santercole (ha lavorato con i registi Pietro Germi, Dino Risi, Giuliano Montaldo, Luigi Comencini, Luciano Salce, Mario Monicelli, Ettore Scola), insieme allo sport e alla ristorazione (lui e la moglie Melù hanno gestito a Roma l’Osteria 13 giugno). Nel 1999 il gran ritorno con il Molleggiato che lo invitò al programma “Francamente me ne infischio”.
Era anche un appassionato di baseball. Nel 2016, incontrando in un bar di Milano alcuni pionieri novaresi, aveva svelato i retroscena delle sue esperienze con questo sport: «Mi ha salvato la vita – spiegò – nel senso che m’ha trasmesso valori importanti». Nei primi anni Cinquanta, quando i “Leprotti” di Beppe Guilizzoni scorrazzavano non lontano, nel rione milanese Canonica, Gino e gli amici della via Gluck si innamorarono del baseball vedendo nel vecchio cinema Tonale il film “Quando Torna Primavera”.
Loro invece si divertivano in uno spiazzo all’inizio della via Gluck, con la lippa e con il baseball. Il padre di Gino faceva il falegname e preparò una rudimentale mazza; anche il resto, dalle basi alle palline, era improvvisato.
Ma li notò Carmelo Cantoni, un ‘nazionale’ che giocava in serie A con l’Inter (abitava in fondo alla stessa via) e portò a quei ragazzi del materiale autentico, compreso il guanto da mancino che serviva a Gino. Il lucido racconto di Santercole proseguì: «Un giorno passò in bicicletta un certo Antonelli, segretario del gruppo sportivo Pirelli, che esclamò: volete giocare sul serio a baseball? La società Pirelli sta cercando dei giovani per allestire una seconda squadra… Fu un colpo di fortuna».
Così i ragazzi della via Gluck, sette-otto giovani sui 15-16 anni, vennero proiettati, dal 1955 al 1957, nel campionato di serie C. In seguito le strade della vita li portarono altrove.
Di Davide Fent
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