Era il 29 agosto 1966 quando i Beatles scesero per l’ultima volta da un palco dopo un’esibizione dal vivo. Non avevano nemmeno 30 anni eppure alle spalle contavano già 1400 concerti. Nessuno poteva immaginare che quello sarebbe stato il loro ultimo spettacolo, nessuno tranne gli stessi Fab Four. Perchè abbandonare le scene tanto presto? Semplicemente non ne potevano più. In più, i continui impegni live non gli permettevano di concentrarsi a dovere sulla scrittura e sulle possibilità che avrebbero avuto avendo più tempo a disposizione.
I concerti allora erano molto diversi rispetto a ciò a cui siamo abituati oggi. Niente spie monitor per i musicisti, organizzazioni spesso approssimate e al limite dell’amatoriale, e il frastuono delle urla dei fan – che nel caso dei Beatles è noto esser sempre stato piuttosto assordante – a coprire quasi l’intera performance.
Quella scelta che all’epoca sembrò quasi un preludio a un prematuro scioglimento si rivelò il carburante fondamentale per la loro definitiva consacrazione. Fu grazie al maggior tempo a disposizione, oltre al fatto di non dover più pensare a un tipo di musica idonea alle esibizioni dal vivo, che nacquero capolavori via via sempre più stratificati e complessi: dal primo gemito di Rubber Soul all’inarrivabile Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, impensabile da eseguire allora (come oggi?) dal vivo.
Se i Beatles fossero stati figli della nostra epoca non avrebbero mai potuto fare questa scelta: oggi, andare in tour è una necessità. Da quando le vendite dei dischi sono crollate e la musica viene sempre più spesso fruita tramite i servizi di streaming gli artisti vedono nella dimensione live l’unica vera fonte concreta di guadagno.
E dire che fu solo grazie alla scelta di fermarsi dopo quel concerto passato poi alla storia che George Harrison riuscì a partire per il viaggio in India tanto rimandato e che divenne poi la pietra angolare dell’evoluzione della band: in quei giorni imparò a suonare il Sitar dal maestro Ravi Shankar e toccò con mano quei suoni e quelle atmosfere senza le quali la musica dei Fab Four non sarebbe stata la stessa.
di Federico Arduini
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