Se ne parlava da anni, adesso è realtà. La tanto attesa statua dedicata a Lucio Dalla è stata scoperta in Piazza Cavour a Bologna, proprio quella “Piazza Grande” protagonista di una delle sue canzoni più riuscite, dove la sua versione bronzea oggi siede, accompagnata dall’inseparabile clarinetto, davanti a quella che fu la sua casa natale.Non poteva essere che qui insomma, in un anno davvero speciale in cui si celebra anche l’anniversario di un altro suo immenso capolavoro: “4 marzo 1943”, un brano che racconta della madre di Lucio, una figura fondamentale per la sua crescita e formazione.
Era infatti il febbraio del 1971 quando un allora ventottenne Lucio Dalla saliva per la terza volta sul palco dell’Ariston per cantare “4 marzo 1943”, accompagnato dall’Equipe 84, avviandosi così al suo primo vero successo di pubblico. Si classificò terzo.«Musicai “4 marzo” alle isole Tremiti – raccontò in più occasioni Lucio, in quelle isole tanto fortunate per la sua vena creativa – senza strumento, cantandola alla maniera dei cantastorie». Un taglio, questo, trasferito anche all’arrangiamento, curato da Ruggero Cini, leggendario compositore con cui Dalla collaborò anche in numerose altre occasioni, una su tutte alla stesura dell’album “Com’è profondo il mare” primo della trilogia a fianco di Alessandro Colombini, che consacrò Lucio al grande pubblico.
La storia del testo è forse una delle più travagliate e note della musica italiana.
Scritto da Paola Pallottini originariamente con l’idea di costruire una storia che rendesse omaggio all’infanzia del cantautore bolognese, cresciuto senza una figura paterna, il cuore del racconto ha finito per essere la madre, come spiega la stessa autrice: «Chiacchierando confrontavamo le esperienze opposte della nostra infanzia: lui con un padre assente, perché era morto quando aveva 7 anni e io con un padre presentissimo, amato ma anche molto ingombrante. La canzone doveva parlare di padri ma finì col parlare della madre».
La canzone non è quindi autobiografica, benché alcuni riferimenti possano esser evidentemente colti, e racconta la vita di una ragazza madre, rimasta incinta di un soldato alleato, dal punto di vista del figlio, chiamato da tutti Gesù Bambino. Fu proprio su questo nome (che l’autrice aveva scelto originariamente anche come titolo del brano) e sull’ultima strofa della canzone che si abbatté la censura televisiva della Rai.
Dopo aver rischiato l’esclusione in fase di selezione, una volta ammessa, subì sostanziali cambiamenti, come racconta ancora una volta la Pallottini: «Il titolo “Gesùbambino”, tutto attaccato, fu cassato e fu scelto il più neutro “4 marzo 1943”, data di nascita di Lucio».
Per quanto riguarda l’epilogo, originariamente, avrebbe dovuto cantare “e anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino”, testo che avrebbe certamente fatto scandalo.
Fu quindi cambiato, dopo una serrata trattativa, in quello che anche oggi possiamo ascoltare “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”.
Ci furono anche altre modifiche, tra cui il verso “giocava alla Madonna” divenuto “giocava a far la donna”, che portarono Bardotti, produttore discografico che curava il progetto, a suggerire a Dalla di non partecipare, come raccontato dallo stesso nel suo libro “In via dei matti numero zero”: «Senti Lucio, lascia perdere, ci hanno rotto i coglioni, al Festival non ci andiamo e basta!» – si legge nel testo – Lui mi disse «No, ci vado lo stesso perché ci credo in questo pezzo, ci vado in tutti i casi…».
La canzone non solo fu un successo, trascinando anche le vendite del terzo album di Dalla
“Storie di casa mia”, ma fu l’unica di quella edizione a raggiungere il primo posto in classifica.
Riuscendo in poche strofe a parlare con semplicità di tematiche complesse, divenne una sorta di manifesto di un nuovo tipo di canzone d’autore di cui Dalla fu preso come capostipite:
«Stranamente mi etichettavano come cantante di sinistra. La gente il giorno dopo (l’esibizione al Festival ndr) mi fermava per strada e mi chiamava compagno. Non che mi dispiacesse: ero sempre stato di sinistra. Solo che non mi pareva di aver interpretato una canzone politica!».
di Federico Arduini
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