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Priscilla, la donna che visse con il “Re” Elvis Presley

Arriva in sala il film “Priscilla” di Sofia Coppola. Priscilla – la moglie di Elvis Presley – la ragazzina che il re del rock and roll ha scelto tra le tante

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Priscilla, la donna che visse con il “Re” Elvis Presley

Arriva in sala il film “Priscilla” di Sofia Coppola. Priscilla – la moglie di Elvis Presley – la ragazzina che il re del rock and roll ha scelto tra le tante

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Priscilla, la donna che visse con il “Re” Elvis Presley

Arriva in sala il film “Priscilla” di Sofia Coppola. Priscilla – la moglie di Elvis Presley – la ragazzina che il re del rock and roll ha scelto tra le tante

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Arriva in sala il film “Priscilla” di Sofia Coppola. Priscilla – la moglie di Elvis Presley – la ragazzina che il re del rock and roll ha scelto tra le tante

Elvis Presley non canta e non suona in Priscilla di Sofia Coppola – presentato all’80esima Mostra del Cinema di Venezia – anzi, lo fa una volta sola, durante una festa nella sua casa a Wiesbaden dov’era soldato nell’esercito statunitense. Non c’è la musica di Elvis, il suo successo non è il punto attorno a cui ruota il resto, il nocciolo qui è Priscilla – come dimostra il titolo del film tratto dal libro Elvis and Me scritto dalla Presleyil punto di vista è quello della ragazzina che il re del rock and roll ha scelto tra le tante. L’unica con cui riesce a parlare.

Priscilla Beaulieu ha quattordici anni, due genitori che la amano, va bene a scuola, fa una vita tranquilla. La star le mette gli occhi addosso e con dolcezza la porta nella sua vita, convincendo in primis il papà di lei della sua buona fede e l’onestà del sentimento. Si conoscono in Germania, ma lui torna in America e si perdono. Passano due anni, lui la cerca, si ritrovano. Priscilla è ancora poco più che una bambina, ma decide cosa fare della sua vita: saluta i genitori e vola da Elvis in America. Scurisce i capelli e trucca di nero gli occhi (a lui piacciono così), è silenziosa, arrendevole, tollerante. Lui è un gigante, lei è piccola. Lui le regala un barboncino e la lascia sola.

È nella vita solitaria di questa ragazzina che Sofia Coppola – premio Oscar per la miglior sceneggiatura con Lost in Traslationindaga, esplora e studia. Cosa vive la moglie di uno degli uomini più famosi del XX secolo? Una bambolina con la lacca nei capelli, gli abiti composti, lo smalto rosso sulle unghie dei piedi, sempre più sola, mortificata dai tradimenti e matura, capace di gestire le emozioni e i crateri dei distacchi bruschi, a volte imprevisti. Non ha amiche, non può. Sta con la nonna di Elvis (lui è spesso sul set o in tournée), con il suocero severo, con il suo cane, con le inservienti nella gigante dimora. Legge i giornali che le gridano in faccia l’ultima fiamma del marito che nonostante tutto torna a casa. Senza di lei non può stare. Priscilla, la piccola amata moglie con cui non fa l’amore. Elvis visto da qui non fa ballare, non fa cantare, ma questo non è un ritratto che lo castiga, è solo un’altra faccia della storia, la favola vista da dentro, senza il fulgore dei rotocalchi.

È la storia di chi sta accanto, di fianco, vicino, a lato. Questa è la storia di chi dedica la propria vita a qualcuno che nel contempo, nel mentre che si dà senza riserve, rende grande la sua esistenza. Avremmo saputo di Priscilla se Elvis non l’avesse amata? Forse sì, ma non così. Di Elvis senza Priscilla? Sì. Lui era già una star. Per tutto il film si avverte questo divario, quello che Priscilla accusa e comunque contiene e disciplina con amore, per amore, finché può. Finché un giorno, già madre, sceglie esclusivamente per sé e per la sua bambina. Quest’unione è leggenda, una fiaba di quelle che ci rendono incapaci di separare il singolo dalla coppia, capace ancora di muovere curiosità e fantasia. 

Coppola, anche questa volta, scava alla ricerca della verità e lo fa attraverso i dettagli più riposti, indaga nella psiche con quel suo fare attento a un certo tipo di candore, nello stesso momento incitato dalle personalità autonome, libere, svincolate dalle consuetudini, sospese in un portamento impalpabile, celestiale e nel contempo penetrante.

Vengono in mente altre donne messe in scena dalla Coppola: Maria Antonietta (Kirsten Dunts) ispirata dalla biografia “La solitudine di una regina”, oppure Charlotte (Scarlett Johansson) in Lost in Translation, la fidanzata trascurata di un fotografo in ascesa, come Priscilla rannicchiata in un riverbero di solitudine prima dell’incontro con Bob e ancora le sorelle Lisbon ne Il giardino delle vergini suicide, le cinque adolescenti inaccessibili, paradisiache, quasi ultraterrene, lontane dal resto del mondo, sia per loro natura che per volere di una madre austera. Le donne della Coppola hanno qualcosa che le accomuna tutte, come prima cosa sono figlie di una mente che delle sue idee, delle sue ossessioni, ha fatto un marchio capace di distinguersi istantaneamente per un’estetica di esuberante etereità. 

di Hilary Tiscione

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