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Messi, è lui a dominare i Mondiali

Comunque andranno i Mondiali, poco importa della finalissima di domenica, va prima incastonata nella memoria la partita di ieri e l’esibizione di Messi.
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Messi, è lui a dominare i Mondiali

Comunque andranno i Mondiali, poco importa della finalissima di domenica, va prima incastonata nella memoria la partita di ieri e l’esibizione di Messi.
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Messi, è lui a dominare i Mondiali

Comunque andranno i Mondiali, poco importa della finalissima di domenica, va prima incastonata nella memoria la partita di ieri e l’esibizione di Messi.
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Comunque andranno i Mondiali, poco importa della finalissima di domenica, va prima incastonata nella memoria la partita di ieri e l’esibizione di Messi.
Trentasei anni annullati in 100 minuti. L’esibizione di Messi contro la Croazia ha imposto una gita sulla DeLorean. Come se all’improvviso ci fosse di nuovo la Guerra Fredda (ma forse c’è, in verità), Gorbacev e Reagan, l’Atari anziché la Playstation sullo smartphone, “The Final Countdown” su cassetta, Craxi al governo e le lire in tasca. E c’è lui, la Pulce, che è copia-carbone di Diego Maradona che porta il Belgio in tour sul suo autobus personale, tra gol, assist e dribbling nella semifinale dei Mondiali messicani.

In precedenza su La Ragione si era scritto che quel parallelo tra Messi e Maradona non poteva stare in piedi. E non per una questione di talento. Che la Pulce è stato sicuramente il migliore degli umani nel calcio. Mentre El Diez era il primo dei divini.

La partita di Messi con i croati ha imposto però una riflessione. Si è rivista quella sensazione di onnipotenza. Si è rivisto anche quel piglio a prendersi la gara, gli avversari, lo stadio e tutto ciò che c’era dentro. Messi era Diego. Eresia? Stavolta no. Non che alla Pulce non siano mai capitate serate di questo tipo in 15 anni.

Quella circumnavigazione – tra tocchi continui di sinistro, accelerazioni e pause – del croato Gvardiol con assist (di destro) per Alvarez per il tris argentino non è mica un inedito. Con la dieci del Barcellona, Messi ha dribblato mezzo Real Madrid con palla all’angolo, in una semifinale di Champions League. Accadde al Bernabeu (ammutolito), al Camp Nou si sono visti difensori di spessore internazionale finire per terra per le finte. Uno per tutti, Jerome Boateng del Bayern, come svenuto sul dribbling sinistro-destro della Pulce, che poi fece pallonetto a Neuer. Una volta con l’Atletico di Madrid fece gol partendo dalla zolla dove avvengono le sostituzioni.

Insomma, l’aneddotica è ricca come in una favola di Fedro. Con l’Argentina però non si era mai visto così. Ed è una sensazione che non svanirà, anche se la Pulce non dovesse arrivare ad alzare quella Coppa, soprattutto se vincessero i francesi. Sta letteralmente dominando il torneo. In quattro partite ha dato forma e sostanza a un’Argentina con assai meno talento di altre edizioni, ma stavolta compatta intorno al suo 10. Anche senza la partecipazione di Di Maria, l’unico che parla la sua lingua, la lingua dei geni.

Messi è il leader, la voce dei compagni. Lo sguardo non è più rivolto solo all’erba, gli occhi sono spiritati. La condizione atletica come mai nell’ultimo triennio. I segnali si erano visti nei mesi precedenti ai Mondiali, gol e assist, con il Psg. Rispetto al Diez manca solo quel mento in alto, quella sfida perenne alla vita che non potrà mai avere, forse per sua fortuna.

Sarà la Francia, sarà il Marocco, al momento poco importa della finalissima di domenica. Va prima incastonata nella memoria la partita di ieri. Dopo la sconfitta con l’Arabia Saudita alla “prima” argentina in Qatar, è stato chiesto a Messi di mettere i panni di Diego per una notte, con il Messico, per salvare la Seleccion. Sta andando oltre: ieri sera è stato il Diego Mundial, quello che si credeva – a ragione – svanito per sempre. Solo un ricordo che riemerge ogni tanto nei filmati in TV o sul web. E invece.

Di Nicola Sellitti 

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