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Sinner e Alcaraz, quando l’avversario ci migliora

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C’è qualcosa di più avvincente dello scontro nella politica italiana fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein? Grazie al cielo, sì: lo scontro sportivo fra Carlos Alcaraz e Jannik Sinner

Sinner e Alcaraz, quando l’avversario ci migliora

C’è qualcosa di più avvincente dello scontro nella politica italiana fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein? Grazie al cielo, sì: lo scontro sportivo fra Carlos Alcaraz e Jannik Sinner

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Sinner e Alcaraz, quando l’avversario ci migliora

C’è qualcosa di più avvincente dello scontro nella politica italiana fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein? Grazie al cielo, sì: lo scontro sportivo fra Carlos Alcaraz e Jannik Sinner

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C’è qualcosa di più avvincente dello scontro nella politica italiana fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein? Grazie al cielo, sì: lo scontro sportivo fra Carlos Alcaraz e Jannik Sinner. I due grandi tennisti del vostro tempo – ahimé, il mio tempo è passato ma i due grandi tennisti che lo hanno rappresentato, Björn Borg e John McEnroe, non sono passati perché il gioco è eterno – se le danno di santa ragione ma alla fine di ogni incontro si abbracciano, si salutano, si rispettano perché sanno che al di sopra di loro due vi è il Gioco che per tutti i giocatori è Giove.

Ora vince l’uno, ora vince l’altro e si alternano nella casella numero 1 della classifica Atp. Ma è proprio in questa alternanza, che sa di sfida con sé stesso prim’ancora che con l’avversario, che c’è tanto da imparare. Per chi? Per tutti. Ma soprattutto per i giovani. Perché in quella pallina che va avanti e indietro – colpita ora di dritto e ora di rovescio, ora tagliata e ora incrociata – c’è la fatica di crescere, capire, migliorarsi e conquistare sé stessi. Cos’è questa regola “Concentrati e lavora” così simile alla famosissima Regola, se non la quintessenza dell’educazione perduta alla vita?

Nella scorribanda in Arabia Saudita ha vinto l’italiano, che ha intascato la bellezza di sei milioni di dollari. Mi sovviene la battuta – passando dal tennis alla letteratura – che fece una volta Domenico Rea a Ruggero Guarini quando gli disse che scriveva meglio dietro pagamento: «Rugge’, a me l’assegno m’ispira». Può darsi che Sinner avesse una motivazione in più, ma non credo che fosse il colore dei soldi. A fine partita Alcaraz ha detto: «Quando Jannik gioca così c’è poco da fare». Ecco, la motivazione è nel gioco stesso: giocare al meglio, essere in partita, non sbagliare un colpo o sbagliare il meno possibile, essere in uno stato di grazia. Perché, al contrario di quanto si pensi, lo stato di grazia non è qualcosa che scende su di noi e con noi rimane sempre ma è una condizione che l’uomo-giocatore si propizia con la preparazione, con il lavoro, con la continuità.

Non tutto è nelle nostre mani, per fortuna; la grazia certamente non lo è, ma senza preparazione e lavorazione la grazia non scenderà mai su di noi. Anche il dono bisogna saper preparare. Nel mondo di oggi sembra che non ci sia cosa più inattuale del lavoro come forma di miglioramento costante. La tecnologia è una santa cosa ma è concepita troppo spesso come una scorciatoia, soprattutto nel campo della conoscenza e della formazione. L’idea che il mondo umano possa essere racchiuso in una formula – una teoria, un pedagogismo, un corso di formazione, un credito formativo – è, nel migliore dei casi, un fraintendimento. La sfida tennistica fra Sinner e Alcaraz sta qui a dimostrarci il contrario: la formazione dell’essere umano è lavoro, fatica, caduta, risalita, volontà. E poi ancora lavoro, fatica, caduta, risalita, volontà.

Il rapporto fra l’allievo e il maestro è andato perduto proprio nel luogo dove è nato: a scuola. Nel campo da tennis, invece, tutto si basa sul rapporto dialettico fra l’allievo e il maestro. Accade poi che i giocatori diventino maestri l’uno dell’altro. «Carlos dice che sembra che io giochi a ping pong? Vorrei essere così concreto dappertutto. Ho bisogno di un rivale come Alcaraz per continuare a migliorare» ha osservato Jannik.

Ecco il punto: il rivale, l’avversario, l’altro da me – il maestro, che parola meravigliosa – ci migliora. Ciò che ci avversa ci avvera. Ci fa più veri perché ci fa crescere nel bisogno del miglioramento. Ma in questo nostro Paese non ci sono avversari. Ci sono soltanto nemici in cui non si vede l’altro me stesso ma il non umano da abbattere. La democrazia liberale è una forma di gioco civile. Per vivere civilmente è necessario imparare a giocare. Anche a tennis.

di Giancristiano Desiderio

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