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Scuola

Prof. bersaglio

I fatti di cronaca degli ultimi anni narrano quanto sia diventato pericoloso il mestiere dell’insegnante.  Il mondo scolastico è diventato una vera trincea
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I fatti di cronaca degli ultimi anni narrano quanto sia diventato pericoloso il mestiere dell’insegnante.  Il mondo scolastico è diventato una vera trincea
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I fatti di cronaca degli ultimi anni narrano quanto sia diventato pericoloso il mestiere dell’insegnante.  Il mondo scolastico è diventato una vera trincea
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I fatti di cronaca degli ultimi anni narrano quanto sia diventato pericoloso il mestiere dell’insegnante.  Il mondo scolastico è diventato una vera trincea
Fare l’insegnante è diventato un lavoro pericoloso. Lo dice la cronaca. Il 1° febbraio 2018 la professoressa Franca Di Blasio fu sfregiata con un coltello da un alunno in classe all’“Istituto Majorana-Bachelet” di Santa Maria a Vico (l’anno dopo la docente venne premiata dalla Regione Campania quale “Donna dell’anno”, ma in realtà le fu dato il riconoscimento per essere sopravvissuta all’aggressione). Se vogliono, gli studenti sanno come fare male. Ma non soltanto gli alunni. Anche i genitori. Nella primavera di quest’anno, al “Liceo Classico Plinio Seniore” di Castellammare di Stabia, un’insegnante è stata picchiata dalla madre di una studentessa. Ancora: il 29 maggio, per chiudere in bellezza l’anno scolastico 2022/23, uno studente del “Liceo Scientifico Alessandrini” di Abbiategrasso ha accoltellato la sua professoressa di italiano, che è praticamente viva per miracolo. Prima o poi, se si continuerà così, ci scapperà il morto. Possibile? Sì, perché gli studenti, le studentesse e le loro famiglie sono in definitiva autorizzati dallo stesso sistema scolastico a pretendere sempre di più dando sempre di meno e quando l’ingiusto riconoscimento non arriva ecco che scatta la violenza che può essere verbale, legale, fisica, armata. Il mondo scolastico è diventato questo: una trincea. In questa situazione assume, allora, particolare rilievo il caso della professoressa di scienze dell’“Istituto Superiore Viola Marchesini” di Rovigo che ha subìto una particolare aggressione. Due suoi studenti l’hanno impallinata: uno sparava pallini di gomma e l’altro riprendeva la scena con il telefonino. Alla fine dell’anno il cameraman ha avuto 9 in condotta e il pistolero 8. Così è intervenuto il ministro dell’Istruzione, c’è stata un’ispezione, è stato rifatto il consiglio di classe e i voti sono scesi: 7 e 6. Dunque, è stata data ai ragazzi una giusta e severa lezione? Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Quei voti che salgono e che scendono sono il termometro che misura la temperatura della scuola e la scuola italiana ha la febbre così alta che nessun intervento ministeriale riuscirà a farla abbassare. Infatti, il virus che provoca la febbre è proprio al Ministero con il sistema dei crediti, con il successo formativo, con la legalizzazione o, meglio ancora, con la statizzazione degli studi e con gli insegnanti che in questo mare imperante di retorica si sono persi, sono diventati l’ultima ruota del carrozzone e vengono presi letteralmente non soltanto a pesci in faccia ma anche a pistolettate e coltellate. Che fare? Lo abbiamo scritto decine, centinaia di volte e non abbiamo più voglia di dirlo perché manca l’interlocutore. La scuola italiana è nella sostanza finita. Lasciamo perdere. Allora, si faccia un’altra cosa. Si legga il romanzo di Frank McCourt “Ehi, prof!” (Adelphi). La scuola di massa ha una sua intrinseca natura tragicomica che bisogna saper afferrare con ironia, nel disperato tentativo di raddrizzare le cose senza prendersi troppo sul serio. «Ehi, professore» dice lo studente al professore irlandese che insegna in America, «tu l’hai mai fatto un lavoro vero, cioè, mica insegnare, dico un lavoro vero?». Ecco, non è esattamente questo che si pensa? Insegnare, in fondo in fondo, non è un lavoro ma un impiego, un ripiego, anche un passatempo. «Ma scherzi? E tu insegnare come lo chiami? Guardati intorno e chiediti se ti piacerebbe venire qui tutte le mattine ad affrontare voi. Voi. Insegnare è più difficile che lavorare al porto e ai magazzini». Ma proprio questo lavoro non è più percepito come un lavoro serio, perché è diventato soltanto una distribuzione ministeriale di voti fasulli e diplomi vuoti. Quando non vengono più rilasciati scatta la pugnalata. «Ehi, prof!» e parte il colpo. Di Giancristiano Desiderio

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