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Il Pnrr in Italia rischia di schiantarsi contro un muro

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La decisione di trasformare in bonus per l’acquisto di vetture una parte dei fondi del Pnrr destinati alla realizzazione della rete di colonnine per la ricarica delle macchine elettriche è un segnale di morte

Il Pnrr in Italia rischia di schiantarsi contro un muro

La decisione di trasformare in bonus per l’acquisto di vetture una parte dei fondi del Pnrr destinati alla realizzazione della rete di colonnine per la ricarica delle macchine elettriche è un segnale di morte

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Il Pnrr in Italia rischia di schiantarsi contro un muro

La decisione di trasformare in bonus per l’acquisto di vetture una parte dei fondi del Pnrr destinati alla realizzazione della rete di colonnine per la ricarica delle macchine elettriche è un segnale di morte

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Suppongo sia noioso parlare e sentir parlare del Pnrr, ma rischiamo di farci e fare davvero male. La posta in gioco va ben al di là della pur rilevante partita degli investimenti. La decisione di trasformare in bonus per l’acquisto di vetture una parte dei fondi (circa 600 milioni di euro) destinati alla realizzazione della rete di colonnine per la ricarica delle macchine elettriche è un segnale di morte. Ma non ci sono state reazioni osservabili, non soltanto fra i politici ma della classe dirigente italiana. Imprese, cattedre e giornalismo compresi.

Abbiamo una responsabilità enorme nei confronti dell’Unione Europea e di ciascuno dei Paesi componenti, rischiando di arrecare un danno permanente ai nostri interessi. La maggiore integrazione europea passa anche attraverso la creazione di debito comune per comuni programmi. Non tutti i Paesi concordano – neanche tutti all’interno di ciascun Paese – essendoci interessi legittimamente diversi. Quanti hanno tenuto sotto controllo la propria spesa pubblica e i propri deficit annuali pagano, per finanziare il loro debito, assai meno di chi ha adottato condotte più dissolute. Facendo crescere spesa, deficit e debito. Dal che discende che un debito comune sarebbe venduto a un tasso d’interesse più basso di quello che pagano i più indebitati, grazie alla garanzia offerta dai contribuenti dei Paesi che hanno dilapidato meno. Facile capire perché non ne siano entusiasti.

Il solo argomento serio per convincerli consiste nel sostenere che investimenti comuni e compensazione degli squilibri renderanno il mercato interno europeo più dinamico. E quindi più capace di produrre ricchezza. A vantaggio di tutti. Questo argomento andrà a farsi benedire se i soldi di Next Generation Eu, presi anche a debito comune e diretti ad alimentare i costi del nostro Pnrr, non genereranno né rinascita né resilienza. Un fallimento peserebbe per lustri.

Abbiamo una responsabilità enorme anche verso noi stessi. Perché un fallimento avvalorerebbe l’idea che è tutto inutile e tutto irrimediabile. Che credere il contrario sia da fessi ed entusiasmarsi per i fondi disponibili significa prepararsi al disperarsi per i fondi sprecati.

Scrivo “abbiamo” perché queste sono responsabilità collettive, che si riflettono in collettive irresponsabilità. Illustrando i cambiamenti al Pnrr che ritiene necessari, il governo ha comunicato al Parlamento che i cantieri in essere non saranno fermati. E riusciremo a incassare le prossime rate. Ma i problemi sono che i cantieri in essere sono pochi e il ritmo lento d’impiego dei soldi dice che non riusciremo a usarli tutti. E che la cosa importante non è incassare rate, ma usare l’incassato. E il segnale del bonus è pessimo: non sapendoli spendere li si dà a chi spende.

Ma non solo non s’è sentito un fiato politico di serio allarme. Non solo i mezzi di comunicazione ne hanno fatto trascurati trafiletti. Ma il senso d’irresponsabilità coinvolge l’intera classe dirigente, come si può ascoltare anche dal Festival dell’economia appena chiusosi a Trento. Secondo Tronchetti Provera la governance europea non funziona e si dovrebbe affidarne la guida a un gruppo ristretto. Secondo Caltagirone l’Ue dev’essere politica, mentre oggi è mera espressione commerciale. Luoghi comuni, rimasticature. Perché non dicono niente sul fatto che è stata l’Italia a inceppare la governance traccheggiando sul Mes? Le iniziative politiche per la difesa ci sono eccome, ma l’Italia rischia di esserne fuori per riottosità: hanno niente da dire? Quanto può durare la gnagnera delle colpe sempre altrui, senza mai volersi esporre per altro che non siano i benedetti affari propri?

Certo che serve un modo diverso di funzionare nell’Ue, ma prima ci si deve chiedere se l’Italia sia uno sprone o un ostacolo. E, nel secondo caso, occorre concentrarsi sui nostri guasti. Fra i quali il possibile e tragico fallimento del Pnrr. Passato da alto piano e irripetibile occasione all’altro piano dello schiantarsi contro il muro della collettiva incapacità.

Di Davide Giacalone

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