La Bce rialza i tassi d’interesse di 50 punti base (lo 0,5), dopo l’analoga decisione presa dalla statunitense Federal Reserve. Restando i tassi d’interesse europei non solo più bassi di quelli americani, ma anche più bassi dell’inflazione. Guido Crosetto, ministro della Difesa, l’ha definita una «decisione presa con leggerezza». In realtà si tratta di una decisione annunciata e programmata. Il colpo di scena sarebbe stato il contrario, ovvero il mancato rialzo.
In biblioteca si trovano chilometri di scaffali sulle politiche relative ai tassi d’interesse, secondo alcuni non direttamente influenti sull’inflazione e secondo altri determinanti a quel fine, come diverse opinioni sugli effetti che si riverberano nell’economia reale, negativi per chi guarda al costo del denaro da investire e positivi per chi guarda alla stabilità monetaria. La sostanza è sempre la stessa: chi governa non vede di buon occhio i rialzi, sperando che la facilità di accesso al credito (che in Unione europea rimane) faciliti la crescita. Solitamente si tratta delle stesse persone che lamentano l’inflazione come «la più iniqua delle tasse» e l’impoverimento del potere d’acquisto e dei risparmiatori.
In ogni caso, che la Bce debba tendere – nel medio periodo – a un tasso d’inflazione pari al 2% è scritto nei protocolli attuativi dei Trattati. Chi avesse da ridire forse è lì che deve rivolgersi. Per anni la Bce ha lavorato a stimolare l’inflazione, che ora corre troppo.
di Sofia Cifarelli
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