Sembra essere resuscitata, da qualche tempo, la vecchia app di tracciamento Immuni, che ha fatto discutere a lungo durante la pandemia.
Dopo il flop delle tracing app un po’ in tutta Europa, Immuni sembrava essere uscita di scena, all’ombra della più chiacchierata appIO, l’app del cashback per cui gli italiani hanno fatto follie. Non passava giorno senza che qualche furbo provasse a raggirare il sistema con 200 microtransazioni, pregustando un super caschback alla fine congelato.
E infatti l’idea di intascarsi 150 euro a spese dello Stato ha finito per prevaricare il più rilevante tema del tracciamento.
Fallisce in Italia il tentativo di prevenire i focolai nella fatidica ‘Fase due’ e la ragione è dovuta al basso numero di download dell’app.
Questioni di privacy: cosa fa lo Stato coi dati che raccoglie? Chi mi assicura che le persone con cui entro in contatto poi non otterranno i dati del mio smartphone? O ancora, chi ha scelto quali sono i dati che il governo può ottenere?
In tantissimi hanno messo in dubbio la trasparenza dell’applicazione, nonostante il codice fosse disponibile in open source e diversi controlli ne abbiano garantito la sicurezza; eppure non è bastato, e Immuni è diventato un caso archiviato.
Da qualche settimana però serpeggia sulla bocca di giornalisti e politici il nome del Green Pass, per spostarsi in libertà.
Uno dei modi per ottenerlo? Immuni.
Insomma quell’app, che credevamo già morta e sepolta nel nostro cellulare, ora torna sui notiziari nazionali.
In realtà il Green Pass è disponibile anche nella stessa appIO, ma allora perché molti stanno ricorrendo di nuovo a Immuni? Perché con IO bisogna, paradossalmente, fornire delle credenziali tra cui lo Spid, identità digitale che hanno ancora in pochi.
È molto più semplice entrare in una app che invece non chiede nessun dato d’accesso, se non quelli del vaccino.
A questo punto la domanda sorge spontanea: e i problemi di privacy?
di Emma Giametta
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