L’ (in)utilità delle discipline umanistiche
Un dibattito che arriva da lontano quello sull’importanza delle materie umanistiche che restano la scelta migliore per plasmare la propria personalità
L’ (in)utilità delle discipline umanistiche
Un dibattito che arriva da lontano quello sull’importanza delle materie umanistiche che restano la scelta migliore per plasmare la propria personalità
L’ (in)utilità delle discipline umanistiche
Un dibattito che arriva da lontano quello sull’importanza delle materie umanistiche che restano la scelta migliore per plasmare la propria personalità
Un dibattito che arriva da lontano quello sull’importanza delle materie umanistiche che restano la scelta migliore per plasmare la propria personalità
Il dibattito sulla dubbia utilità delle discipline umanistiche all’interno di un mondo ormai meccanizzato si trascina dai primordi della Rivoluzione industriale: le facoltà tecnico-scientifiche – lo dimostrano i numeri – sono senza dubbio più redditizie in prospettiva lavorativa, mentre quelle umanistiche vengono sempre più spesso ridotte al rango di ‘corsi senza sbocchi’ e, di conseguenza, considerate futili.
Una tale concezione utilitaristica del sapere, secondo la quale le materie d’istruzione devono necessariamente avere un’immediata ricaduta pratica per essere considerate ‘utili’, tralascia però un fattore essenziale:l’importanza della formazione classica a livello prima di tutto umano.
È innegabile che le conoscenze tecnico-scientifiche costituiscano il perno dello sviluppo mondiale, ma la filosofia, la storia e la letteratura sono degli strumenti potentissimi per plasmare la personalità, assimilare l’arte del ragionamento, conoscere e interiorizzare la complessità dell’esperienza umana.
Le abilità acquisite meccanicamente, se non opportunamente conciliate con le forme di conoscenza più ‘umane’, rischiano di plasmare individui omologati, sprovvisti della capacità di ragionare autonomamente. Il che non significa assecondare quel narcisismo primordiale proprio di certi umanisti che, volontariamente relegati nella torre d’avorio della loro superiorità, non intendono sporcarsi le mani con la componente materiale della realtà. Significa piuttosto abbracciare la conoscenza in tutte le sue sfaccettature, senza etichettarne alcune come inutili o poco redditizie.
La soluzione a questo estenuante dibattito, dunque, non deve essere la costituzione di una gerarchia di subordinazione tra le varie discipline, ma la loro coordinazione all’in-terno della società. Soltanto così potrà generarsi valore sociale, fondamentale – al pari del più concreto guadagno economico– per la formazione di cittadini realizzati e consapevoli.
di Ilaria Prazzoli
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