L’igiene mestruale negata a troppe donne nel mondo
L’igiene mestruale negata a troppe donne nel mondo
L’igiene mestruale negata a troppe donne nel mondo
È normale ricevere l’educazione dai propri genitori. È normale avere il loro supporto il giorno in cui per la prima volta arrivano le mestruazioni. È normale avere sempre gli assorbenti nella seconda anta dell’armadio in bagno, e andare a prenderli ogni volta ne si abbia bisogno. Ed è normale che questa sia considerata normalità, in una società privilegiata come la nostra.
Sì, privilegiata. Perché per Marcelene, che ha 17 anni e vive in Ruanda, è invece normale non andare a scuola nei giorni del ciclo mestruale, per il troppo imbarazzo o per la mancanza di bagni nella struttura. È normale che i suoi genitori, piuttosto che spendere denaro per acquistare prodotti igienici, preferiscano comprare vestiti e cibo. Ed è normale che il perdere cinque o sei giorni scolastici al mese spesso si concluda con l’abbandono finale della scuola.
Ma vi sembra normale che in Paesi come Pakistan, Malawi, Nepal, durante il loro periodo mestruale, le donne utilizzino vecchi stracci? Che in Uganda si opti per gonne di pelle di capra, foglie secche, piume di pollo? Altre volte si preferisce addirittura far assorbire il flusso mestruale da un cumulo di polvere. È normale correre il rischio giornaliero di imbattersi in infezioni. E oggi sono circa 500.000.000 coloro che vivono in simil condizioni di povertà mestruale.
Ma la period poverty non è poi così distante: secondo l’Istat sono 2.472.000 le donne che in Italia faticano a permettersi l’acquisto di prodotti per la gestione dell’igiene mestruale. E questo perché essi in molti Paesi sono ancora soggetti alla Tampon Tax – in Italia del 22% – perché considerati beni di lusso. E che lusso! In Italia, la necessaria spesa annuale per tali prodotti si aggira intorno ai 90€; considerando in media 40 anni di mestruazioni, l’impatto economico raggiunge i 3600€ (senza considerare contraccettivi, antidolorifici…). Una follia. Peccato che sia questa la normalità. E che sia in continuo peggioramento a causa della pandemia.
di Alessia Tocchet
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