
La difficoltà di non cedere alla vendetta e accettare di vivere in uno Stato di diritto
La difficoltà di non cedere alla vendetta e accettare di vivere in uno Stato di diritto
La difficoltà di non cedere alla vendetta e accettare di vivere in uno Stato di diritto
Alla luce di certi fatti di cronaca nera mi rendo conto di quanto sia talvolta arduo accettare di vivere in uno Stato di diritto e quanto sia complicato parlare di giustizia. Sì, perché in questi frangenti si tende a strizzare l’occhio all’emotività o, meglio, a quel senso di giustizia tanto ondivago quanto oscuro che porterebbe a invocare, più che pene, delle vendette legalizzate.
Ecco così farsi largo l’idea della punizione esemplare, finalizzata più a punirne uno per educarne cento piuttosto che a rieducarne uno per far comprendere (e riflettere) cento. Ma non finisce qui. Si parla subito di colpevoli e si pregustano condanne immediate, veloci. Ancor prima del processo, prima delle miriadi di sfumature che caratterizzano l’accertamento della (eventuale) responsabilità, si pretendono la condanna e la gogna, e il connubio pena-vendetta prende forma.
Il processo diventa lettera morta, sacrificato dinanzi alla spettacolarizzazione mediatica del dolore del fatto illecito e al diffuso voyeurismo giuridico che ne consegue. Io penso sia tremendamente difficile accantonare l’emotività e la rabbia suscitate da una notizia di cronaca nera, ma credo sia tremendamente necessario andare oltre questa concezione shylockiana e retributiva di giustizia.
Ed è questo ‘andare oltre’ ciò che rende complicato l’accettare la giustizia e il vivere in uno Stato di diritto, uno Stato che, malgrado la complessità dell’impresa, non rinuncia alla rieducazione e alla riparazione della frattura creata. Non è semplice, ma qual è l’alternativa? Lo stato di natura? Quello in cui, in ogni caso, il gradasso ha la meglio sul debole? Qui, in questo ordinamento, c’è la speranza di un cambiamento; fuori si è già rinunciato in partenza.
E poi, come diceva Vittorini, che non credo fosse buonista: «Appena vi sia l’offesa, subito noi siamo con chi è offeso, e diciamo che è l’uomo. Sangue? Ecco l’uomo. Lagrime? Ecco l’uomo. E chi ha offeso che cos’è? Mai pensiamo che anche lui sia l’uomo. Che cosa può essere d’altro?»
di Alberto Tortoroglio


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