Era il 2012 quando usciva nelle sale “In Time”, il film che rappresenta un futuro distopico in cui la nuova moneta altro non è che il tempo. Oggi abbiamo molti modi per effettuare transazioni offline e online, scegliendo tra moneta o crypto valute ma il tempo rimane solo un qualcosa che possiamo vendere e mai acquistare.
Ultimamente in varie parti del mondo, dalla Spagna al Giappone, si parla della settimana lavorativa di quattro giorni per permettere un maggior equilibrio tra vita privata e lavoro: una tesi che sembra venir confermata nella pratica pure in Giappone – un Paese che vede nelle morti date da infarto per il troppo lavoro il massimo del prestigio sociale che una persona possa ottenere – dove punta ad aumentare i livelli di produttività, di concentrazione ma soprattutto di benessere fisico e mentale.
Siamo nell’epoca della postmodernità e il benessere viene prima della sopravvivenza ma una tematica così semplice e allo stesso tempo complicata da attuare – seppure si presenti come uno scudo con il quale proteggerci dall’alienazione e da altre tipologie di disturbi – è ancora poco discussa e considerata.
Nel momento in cui entrerà davvero nel dibattito pubblico anche nel nostro Paese, questa proposta vedrà sicuramente i sostenitori proporlo come il naturale processo di evoluzione della nostra società e gli oppositori dovranno sforzarsi di far leva sull’emotività del pubblico citando sedicenti studi (leggasi fake news o frasi alla «Mio cugino mi ha detto») che mostrano come i giovani lavorando un giorno in meno a settimana si ritroveranno un’esistenza perduta, come se poi interessasse soltanto loro.
Per ora l’unico punto a sfavore di questa medicina a molti mali della nostra attuale vita frenetica sembra essere la possibilità di applicarlo a tutti i lavori e di non pesare eccessivamente per quanto riguarda il cuneo fiscale, rischiando di scoraggiare le assunzioni o di favorire il “lavori un giorno in più, comunque, ma in nero”.
Non sappiamo quando ne vedremo parlare seriamente nei nostri salotti televisivi e quale sarà il risultato ma possiamo solo dire che sarà un tema divisivo anche se alle polarizzazioni senza dialogo ci abbiamo fatto l’abitudine.
di Aurora Rexhepi e Riccardo Valle
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