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Diplodazia, Meloni fra dazi e diplomazia

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Meloni e le parole al “Financial Times”. Prova a barcamenarsi, rendendo barcamenante l’Italia. Ma funziona solo per sperare che i problemi si risolvano da soli

Diplodazia, Meloni fra dazi e diplomazia

Meloni e le parole al “Financial Times”. Prova a barcamenarsi, rendendo barcamenante l’Italia. Ma funziona solo per sperare che i problemi si risolvano da soli

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Diplodazia, Meloni fra dazi e diplomazia

Meloni e le parole al “Financial Times”. Prova a barcamenarsi, rendendo barcamenante l’Italia. Ma funziona solo per sperare che i problemi si risolvano da soli

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La presidente del Consiglio prova a barcamenarsi, rendendo barcamenante l’Italia. Ma funziona solo per sperare che i problemi si risolvano da soli. Come chiudere gli occhi in una tempesta, sperando che passi. E lo speriamo tutti, ma se non passa aver chiuso gli occhi non sarà servito a niente e potrà aver favorito un sentimento fatale d’ingannevole sicurezza. Defilarsi non porterà niente di buono né sul lato della difesa né su quello dei dazi. Sperare che siano gli altri a fronteggiare i guai non rientra fra le grandi idee della storia.

Dice Meloni (al “Financial Times”) che l’iniziativa francese e inglese – ma ci stanno anche i tedeschi – per una forza che garantisca la sicurezza degli ucraini, potrebbe essere considerata da Putin come una «minaccia». Alla domanda se Putin è da considerarsi una minaccia, risponde: «Credo che potrebbe esserlo, credo che potrebbe. (…) Dobbiamo trovare un modo per essere pronti a difenderci da ogni tipo di minaccia che possiamo avere».

Ma quale? E non eravamo «con l’Ucraina fino in fondo»? Se non è una minaccia uno che invade con le armi, chi lo è? Uno che sbarca in mutande? Il punto è che Meloni non riesce a trovare un punto di conciliazione fra le cose (giuste) che disse sull’Ucraina e la voglia di compiacere Trump. Ammesso lo si compiaccia. Il che lascia l’iniziativa a francesi e tedeschi, in evidente consonanza con gli inglesi. La condizione perfetta perché domani ci si lamenti di essere stati esclusi (aspetti industriali compresi), dimenticando d’essersi autoesclusi.

Sui dazi prova a cavarsela con i paradossi: «Pensate davvero che il protezionismo negli Stati Uniti sia stato inventato da Trump?». Non lo pensa nessuno e il protezionismo esisteva prima che nascesse. Nel XVIII secolo Adam Smith ne vide i guasti. Ma la domanda a Meloni è: ha mai visto qualcuno usare dazi e protezionismo con altrettanta violenza, diretta contro gli alleati? Certo, ha ragione Meloni, si deve mantenere la calma, la quale servirà a vedere quello davanti a cui lei preferisce chiudere gli occhi: il nesso fra la faccenda ucraina e i dazi forsennati è nella linea politica che interpretano, ovvero l’intenzione di rompere tutte le possibili catene del valore createsi con la straordinaria stagione della globalizzazione.

Può darsi che Trump e i suoi siano sbruffoni pasticcioni, ma è secondario rispetto alla linea politica che si sono dati o che è stata loro assegnata. Può darsi (che orrida idea) che Trump subisca il fascino di Putin, ma la sostanza è che la dottrina russa combacia al bacio con quella americana di oggi. Solo che per colpire il bersaglio cinese si deve smontare l’ecosistema in cui vive la nostra ricchezza di europei, canadesi, australiani e via andando.

Quello di Trump non è protezionismo, ma distruzionismo. Quello di Trump non è neanche nazionalismo, perché l’idea di una moneta virtuale privata che abbia eguale valore e sostituisca il dollaro – costringendo la Federal Reserve (apposta prova a cacciarne il presidente con la scusa, pure sbagliata, dei tassi d’interesse) ad accettarla come valuta di riserva – demolisce il concetto stesso di nazione. E vedranno i ‘dimenticati’ o i lavoratori poveri quanto doloroso sarà pagarne le conseguenze. Ma a quel punto l’operazione sarà conclusa.

Stiamo calmi e proviamo a negoziare. Giusto, ma con quale forza? Corteggiare uno che capisce che non hai capito serve a niente, se non a essere usati per diminuire la forza altrui. Una forza è il riarmo, la difesa europea e la concreta iniziativa a tutela dell’Ucraina. O ci si sta oppure no. L’altra forza è la grandezza e ricchezza del proprio mercato, capace di indurre timore nei produttori statunitensi nel mentre cerca accordi e sbocchi in altre aree, il che comporta legami commerciali che funzionano benissimo ma che la destra italiana ha costantemente avversato (dal Ceta al Mercosur). O si è dentro o non si è, impoverendo i nostri esportatori. Non c’è altra diplodazia all’orizzonte. Il resto sono soltanto illusioni a occhi chiusi.

di Davide Giacalone

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