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Nebbioso 2023

È preoccupante come le forze politiche chiedano all’attuale Premier di restare fino al 2023, ma non spieghino in alcun modo cosa vogliano fare loro. Come se dicessero: votate noi, ma governi Draghi.
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Nebbioso 2023

È preoccupante come le forze politiche chiedano all’attuale Premier di restare fino al 2023, ma non spieghino in alcun modo cosa vogliano fare loro. Come se dicessero: votate noi, ma governi Draghi.
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Nebbioso 2023

È preoccupante come le forze politiche chiedano all’attuale Premier di restare fino al 2023, ma non spieghino in alcun modo cosa vogliano fare loro. Come se dicessero: votate noi, ma governi Draghi.
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È preoccupante come le forze politiche chiedano all’attuale Premier di restare fino al 2023, ma non spieghino in alcun modo cosa vogliano fare loro. Come se dicessero: votate noi, ma governi Draghi.
La convergente corsa a dire che Draghi deve continuare a governare fino al 2023 ha qualche cosa di grottesco. Certo che è un bene. Certo che questa legislatura cominciata nel peggiore dei modi ha preso una piega positiva. Ma il compito delle forze politiche non è quello di confermare che altri è bene continuino a fare quello che loro non sanno e non sono riuscite a fare, bensì chiarire come loro intendono occupare il tempo. Per dirne una (ricordata da Carlo Cottarelli): la futura regolare erogazione dei fondi europei è subordinata al rispetto di 527 condizioni, ci sono riforme da fare e realizzazioni da dimostrare, il che comporta un veloce e concorde lavoro delle Assemblee legislative e una fattiva collaborazione degli enti e delle amministrazioni locali. Tutta roba abitata dalle forze politiche, come è naturale che sia. Che fanno: chiedono gli ordini cui obbedire, il loro commissariamento di fatto (e forse anche di diritto) o riproducono in sede locale la fattiva collaborazione che oggi le porta a chiedere a Draghi di restare (almeno) fino al 2023? Per dirne un’altra: la permanenza di Draghi presuppone la permanenza della maggioranza di governo, la quale non sopravviverebbe a una spaccatura verticale in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica. Cosa pensano di fare, di trovare un candidato comune o di organizzare una processione ginocchioni per chiedere all’attuale inquilino di non traslocare, riconoscendogli il merito di avere trasformato la legislatura dal tempo della perdizione a quello della redenzione? Se Draghi va bene a (quasi) tutti, ma non è di nessuno – fatto salvo il comprovato rispetto dei dettami costituzionali – si pone un problema enorme, relativo al divorzio fra consenso elettorale ed esercizio del potere. E le famiglie democratiche non resistono a tale strazio. Siccome è escluso che la nostra diventi altro da quel che è, ovvero democratica, ne deriva che l’inconcludenza e l’inadeguatezza delle forze politiche è un problema assai serio. Il rimedio passa dal riconoscimento della realtà: le coalizioni contrapposte non esistono più. Ammesso siano mai esistite altro che come trucco elettorale. Non esistono perché internamente disomogenee e non esistono perché elettoralmente battute da un partito di maggioranza relativa il cui maggiore pregio è un trasformismo funambolico. Quindi si deve scegliere: o si va verso un sistema schiettamente maggioritario, sicché a una minoranza meno minore di altre si riconosce il diritto di governare da sola, senza gridare al regime o al colpo di Stato; oppure si va verso un sistema proporzionale, sicché si riconosce che le maggioranze si formano in Parlamento e alle elezioni si presentano forze diverse che hanno già messo nel conto di dovere, poi, collaborare. Se si evita la scelta ci si ritrova a dire: governi Draghi e votate noi. Non sfuggirà loro quanto sia ridicolo. di Davide Giacalone

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