Anche con un certo tasso di sottile provocazione, Giorgia Meloni avrebbe potuto fare suo un precetto di Mao Tsedong, quello in base al quale colpirne uno per educarne cento è un ottimo esercizio di leadership. Ma avrebbe anche potuto circumnavigare l’universo di sinistra e rivolgere la memoria agli antichi Romani, che pure esprimevano il medesimo concetto in maniera più levigata: unum castigabis, centum emendabis.
Invece no, ha preferito coprire politicamente quei due gemelli dell’autogol di Donzelli e Delmastro, capaci di maneggiare materiale delicato diffondendolo senza commettere reati (pare) tuttavia dimostrando superficialità al limite dell’irresponsabilità. Non l’ha fatto, non li ha “castigati” perdendo in tal modo un’occasione: se infatti avesse agito al contrario avrebbe potuto lucrare alla grande – e indossando un impeccabile abito istituzionale – sull’altrettanta se non maggiore superficialità (quel vecchio volpone di Paolo Mieli ha parlato di «goffaggine») con la quale il Pd ha trasformato il sacrosanto diritto di visitare in carcere i detenuti di ogni tipo e pericolosità, pilastro dello Stato di diritto, nella possibilità degli avversari di strumentalizzare un gesto di dubbia opportunità per le modalità in cui è avvenuto.
Poteva farlo e non lo ha fatto, rivestendo di evanescenza il pur condivisibile appello ad abbassare i toni, a guisa di un vigile del fuoco che vuole spegnere un incendio ma lascia vivo il falò da cui è nato.
Sulle ragioni della scelta della presidente del Consiglio molto inchiostro (a cominciare da quello da lei usato per scrivere al “Corriere della Sera”) è stato versato. Inutile aggiungerne altro. Piuttosto vale registrare l’onnipresenza nonché l’ineluttabilità degli animal spirits della destra italiana, che per rivendicare il suo indiscutibile diritto a esprimersi troppo spesso lo fa con eccessi di sguaiatezza e discutibile senso dello Stato.
Né appare valida la giustificazione che nessun accordo è possibile con la mafia o mai e poi mai per abolire il 41-bis, visto che nessuno potrebbe consentire il primo e tutti sono d’accordo sul mantenere il secondo.
Ma il vero punto politico è un altro. Attaccare il Pd – e così facendo compattare tutta l’opposizione come mai da inizio legislatura: altro capolavoro di imperizia politica – con l’accusa di intelligenza con la criminalità ai più alti livelli non solo è insensato e inaccettabile ma ripropone quel tipo di demonizzazione che il centrodestra, unito, da sempre lamenta nei suoi confronti da parte della sinistra e che è stato l’arsenico che ha avvelenato negli ultimi decenni qualunque tentativo di approvare riforme col metodo bipartisan.
Vero è che Meloni assicura che l’attuale maggioranza sia in grado di procedere da sola. Ma forse farebbe bene a riflettere sul fatto che chiunque abbia tentato quel percorso si è ritrovato isolato e sconfitto. Avvelenare i pozzi del dialogo e del rispetto reciproco – virus che non appartiene purtroppo solo al centrodestra – è la strada migliore per produrre molte e altisonanti parole cui non seguono mai i fatti, per alzare fino al parossismo stentoreo i decibel della polemica, per rinchiudersi nel fortino delle proprie certezze e combattere avversari che finiscono per essere mulini a vento.
Non è così che si governa un Paese moderno e sviluppato. Che ha bisogno di sicurezze a patto che non diventino oltraggi, che deve rinsaldare il sistema e non picconarlo in nome di una presunta identità da salvaguardare. Gli animal spirits vanno bene (e neppure tanto) nei comizi al chiuso delle sezioni, se e dove ancora esistono. Fuori da quel contesto sono fuochi d’artificio che rischiano di bruciare le mani di chi li usa.
Di Carlo Fusi
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