VerDetto: l’analisi sul processo Open Arms a Salvini
Lo scontro fra politica e giustizia è indotto da pesanti responsabilità in capo alla corporativizzazione e sindacalizzazione dei magistrati, ma quelle decisive ricadono sulla politica
VerDetto: l’analisi sul processo Open Arms a Salvini
Lo scontro fra politica e giustizia è indotto da pesanti responsabilità in capo alla corporativizzazione e sindacalizzazione dei magistrati, ma quelle decisive ricadono sulla politica
VerDetto: l’analisi sul processo Open Arms a Salvini
Lo scontro fra politica e giustizia è indotto da pesanti responsabilità in capo alla corporativizzazione e sindacalizzazione dei magistrati, ma quelle decisive ricadono sulla politica
Lo scontro fra politica e giustizia è indotto da pesanti responsabilità in capo alla corporativizzazione e sindacalizzazione dei magistrati, ma quelle decisive ricadono sulla politica
Matteo Salvini è stato assolto da un tribunale, ovviamente popolato da magistrati. Con il che si spera sia chiaro che parlare dei “magistrati” come se fossero un corpo unico e di un solo colore è un errore. Che un ministro abbia agito nella regolarità non può che rallegrare. Posto ciò, la storia continua.
La sentenza di ieri non è l’atto finale, potrà essere appellata. Solo quella finale può chiamarsi “giustizia”. Mai le tappe intermedie, mai la tesi dell’accusa, mai le prove vagliate in un dibattimento e offerte all’ingannevole e ingannato giudizio del vasto pubblico cui il verdetto va offerto, non chiesto. Ma non nascondiamoci dietro un dito: il lungo scontro fra politica e giustizia è indotto da pesanti responsabilità in capo alla corporativizzazione e sindacalizzazione dei magistrati, ma quelle decisive ricadono sulla politica. Il legislatore (quindi la politica) è loquace nel lamentarsi – se attaccato – e vile nel compiacersi – se sotto attacco finisce un avversario – ma incapace nel legiferare.
Più che giustamente Matteo Renzi ha osservato che è una bella soddisfazione vedersi riconosciuta l’innocenza, dopo cinque anni (nel suo caso) d’inquisizione, ma è impressionante che il magistrato che ha sbagliato non paghi per l’errore. Non solo quello verso Renzi, ma verso le centinaia e migliaia di cittadini cui fa vivere anni infernali per poi arrivare alla conclusione che il fatto non sussiste o non è reato. Ha ragione, ma ha anche torto: mica quel magistrato deve fustigarsi, è la legge che deve prevedere una vera responsabilità. E la legge la fa il legislatore. Il quale non riuscirà mai a far valere alcuna seria responsabilità se non avrà il coraggio di togliere l’alibi perfetto di ogni ingiustizia: l’obbligatorietà dell’azione penale. Sono distanti, i due Matteo, ma lo hanno capito che il tragico si ripeterà se non riusciranno ad ammettere assieme che quelle riforme sono necessarie?
L’alibi del cattivo legislatore, invece, è nell’accusare il giudicante di interpretare le leggi in modo da snaturarle. Ma non esiste giudizio senza interpretazione e ove l’interpretazione tradisca il dettato della legge è perché il testo riflette la tremula incapacità del legislatore. Eccone un esempio: la Corte di cassazione ha dovuto ribadire l’ovvio, ovvero che nello stabilire se è sicuro o meno il Paese in cui un immigrato deve essere rimpatriato il giudice deve tenere presente quel caso particolare. Giudica non i Paesi, ma persone e circostanze. Ciò perché la norma lo prevede. Non piace che sia così? Quella Corte ha già messo le mani avanti, ritenendo mutato il quadro con la legge del 23 ottobre 2024. Se non si vuole lasciare margini all’interpretazione si stabilisca che un egiziano deve sempre e comunque essere rimpatriato in Egitto, ritenuto Paese sicuro, assumendosi la responsabilità della sorte di quell’essere umano. Ove se la sentono, procedano, altrimenti evitino di dire una cosa e farne un’altra, seminando discredito.
Abbiano, però, cura di leggere con attenzione l’articolo 10 della Costituzione, che rimanda a un contesto in cui la libertà era una conquista non solo da difendere, ma da offrire: basta che a uno straniero sia negata la libertà e la democrazia per dargli titolo al nostro asilo. Un veloce corso sulla gerarchia delle fonti renderà chiaro che a quel testo il giudice deve fare riferimento. Deve.
Grave responsabilità ricade sul mondo dell’informazione, spesso disinformato di diritto e diritti, pronto a rilanciare il latrato giustizialista, prono a chiamar “giustizia” la carta allungatagli dalla Procura connivente, che spera di potere invocare l’alibi delle battaglie a difesa di questo o quell’inquisito. Peccato siano battaglie a difesa degli amici propri, degli amici degli amici e di quelli dell’editore contro quelli dall’altra parte e nella più totale strafottenza di una macchina che tritura diritti collettivi ogni giorno e tante vite innocenti o, comunque, non meritevoli di quel trattamento.
Non ci si fermi a un verdetto, si provi a cominciare a dirci la verità su noi stessi e quel che si è diventati.
Di Davide Giacalone
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